Il celibato nella Chiesa. Libro-inchiesta di Enzo Romeo dà voce ai protagonisti

Enzo Romeo, vaticanista del Tg2, ha scritto il volume “Lui, Dio e lei” (Rubbettino Editore 2018, Collana “Problemi aperti”, pp. 256, 16,00 euro, introduzione di Gianni Gennari), nel quale il giornalista e saggista parla del «celibato nella Chiesa», come recita il sottotitolo.
Il libro contiene una sintesi storica del celibato, che «non è un’esclusiva della Chiesa cattolica», ed elenca le posizioni dei papi dell’ultimo secolo, da Pio XI a Francesco. Inoltre l’autore ha intervistato alcuni esperti, come il religioso-psicologo prof. Giuseppe Crea specialista nella cura dei disagi di persone consacrate, e la teologa Stella Morra, che insegna ai futuri candidati all’episcopato. Riporta anche la bella testimonianza di padre Alejandro Solalinde Guerra, prete psicologo messicano candidato al Nobel per la Pace 2017. Famoso per la battaglia in difesa degli immigrati indocumentados che risalgono il Messico dal Centro America per tentare di superare il confine con gli Stati Uniti, padre Alejandro, braccato dai narcos messicani, ha dichiarato a Romeo che «il celibato va vissuto come una vocazione».
Non solo un libro-inchiesta, perché il vaticanista dà voce ai protagonisti: preti che hanno lasciato il ministero dopo avere scoperto di amare una donna, e mogli di ex sacerdoti. I loro racconti offrono parecchi spunti di dibattito e di riflessione, perché nelle parole degli “spretati”, com’erano chiamati un tempo, traspare forte il desiderio di continuare a rappresentare una risorsa per la Chiesa ed essere utili alla Comunità cristiana.
Abbiamo intervistato l’autore.
Quanti sono in Italia i sacerdoti che hanno rinunciato all’abito talare?
«Non ci sono dati ufficiali ma solo delle stime. In ogni caso si tratta di cifre alte: c’è chi parla di quattromila, chi di ottomila preti, che sono stati dimessi dallo stato clericale negli ultimi decenni».
Ha intervistato padre Carlo Travaglino, francescano, missionario fra i lebbrosi in Etiopia anche grazie all’aiuto di Franca, la donna che poi è diventata sua moglie. La loro è una storia emblematica?
«Sì, perché nel loro caso l’amore tra due persone non ha soffocato l’amore per il prossimo. Carlo conobbe Franca e condivise con lei il progetto di servire i lebbrosi in Eritrea. Amava questa donna e voleva sposarsi senza rinunciare a essere un sacerdote missionario. Il suo vescovo, il cardinale Ursi, comprese quel desiderio e ne parlò con Paolo VI, che dopo aver considerato attentamente il caso, concesse a Carlo una dispensa speciale. Carlo e Franca hanno vissuto una vita bella e piena, creando una rete di solidarietà che ha consentito la costruzione di dispensari e ospedali per la cura delle persone più povere ed emarginate».
Chi sono i “viri probati”?
«Sono persone adulte di “provata fede”, anche sposate, alle quali nella Chiesa primitiva venivano affidati alcuni compiti oggi riservati all’ordine sacro, quindi ai presbiteri. Oggi si discute della possibilità di riproporre queste figure, definendone meglio il ruolo. Se ne parlerà con ogni probabilità nel prossimo ottobre durante il Sinodo sull’Amazzonia, dove la mancanza cronica di sacerdoti rende estremamente urgente la questione».
Un capitolo del volume è dedicato ai preti sposati di rito orientale come “Papàs” Gabriel, prete “uxorato”. Ce ne vuole parlare?
«Il celibato è una norma che riguarda esclusivamente i preti cattolici di rito latino. Quelli di rito orientale, invece, possono sposarsi, a patto che lo facciano prima dell’ordinazione. In Italia ce ne sono parecchi; sono quelli delle “eparchie” di Lungro in Calabria e Piana degli Albanesi in Sicilia, dove vivono le comunità che risalgono all’immigrazione albanese di molti secoli or sono. Nonostante una così antica tradizione, però, anche in queste Chiese il celibato rimane un argomento scomodo, quasi un tabù. Il fatto è che rimane sullo sfondo l’idea – distorta – che sacerdozio e matrimonio siano dei sacramenti in concorrenza fra loro, con una primazìa del primo sul secondo».
Per quanto riguarda la questione femminile nella Chiesa, “potranno le donne un giorno entrare nella stanza dei bottoni”?
«In occasione del recente Sinodo sui giovani è stato chiesto a gran voce che le donne possano essere ammesse al voto nell’assise sinodale. Come fare? Il Sinodo è l’assemblea dei vescovi, che sono solo uomini, chiamati alla successione apostolica. Anche qui, ciò che servirebbe è un cambio di mentalità. Finora nella Chiesa, specie tra il clero, la donna è stata posta tra due estremi: o una figura celeste a cui affidarsi (vedi la devozione alla Vergine Maria) o una persona con ruoli ancillari, umili, secondari. Cosa accadrebbe se ci fossero più donne e contassero sul serio nella gestione, ad esempio, di una parrocchia? Gli strumenti ci sono (vedi i consigli pastorali), ma vanno fatti funzionare. Poi si potrà discutere di diaconato o addirittura di sacerdozio femminile, ma senza farne una conditio sine qua non».
L’11 novembre 2016, durante il Giubileo, per l’ultimo “Venerdì della Misericordia”, Bergoglio si recò a Ponte di Nona, quartiere all’estrema periferia di Roma est per incontrare sette famiglie, tutte formate da persone che hanno lasciato, nel corso di questi ultimi anni, il sacerdozio. Il celibato resta sempre un problema aperto nell’agenda di Papa Francesco?
«Credo che papa Francesco attribuisca al celibato un grande valore e dunque non abbia voglia di rimetterlo in discussione. Bergoglio, però, si rende conto che è un “dono” che va accolto in modo pieno e convinto. Ciò che va evitata – ripete spesso – è “la doppia vita”: sacerdoti che continuano a esercitare il ministero avendo una o un amante. Non si tratta allora di abolire il celibato, semmai di renderlo facoltativo, come del resto già avviene tra i cattolici di rito orientale».