Italia in preda all’incertezza. Il rapporto Censis: “Mancano prospettive di crescita”

«Il nostro Paese è preda di un sovranismo psichico che talvolta assume profili paranoici della caccia al capro espiatorio». È l’Italia fotografata dal Censis (Centro studi investimenti sociali) nel suo 52° rapporto annuale, presentato questa mattina a Roma nella sede del Cnel da Massimiliano Valerii, Direttore Generale Censis. 

L’annuale Rapporto Censis è fondamentale per comprendere l’analisi e l’interpretazione dei più significativi fenomeni socio-economici del Paese, perché individua i reali processi di trasformazione della società italiana. Non è un caso che Paolo Peluffo, Segretario Generale del Cnel, ha rivelato che l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, agli inizi degli anni Duemila, prima di redigere il discorso di fine anno consultava il Rapporto Annuale del Censis.

Dopo «l’Italia del rancore», emersa dal Rapporto dello scorso anno, gli italiani si scoprono incattiviti e spaventati. Le ragioni sono che viviamo in un clima sociale di forte ambiguità e incertezza, questo clima sociale dipende da due profonde cocenti delusioni: la prima è dovuta all’aver visto sfiorire la ripresa nella quale si erano riposte molte attese. Vi è stata poi una grande disillusione sul cambiamento miracoloso che, di fatto, non si è compiuto. La palingenesi non c’è stata. Tutto ciò condiziona il clima sociale. Del resto non ci sono ragioni per festeggiare: il Pil ristagna, nel terzo trimestre è tornato in negativo -0,1 %, questo obbliga a rivedere al ribasso la produzione di crescita. I consumi delle famiglie non ripartono solo +0,5 su base annua. L’indice della produzione industriale flette, -0,2 %, anche l’export ha notevolmente rallentato sempre nel terzo trimestre. Incattiviti perché l’ascensore sociale non funziona: meno di un italiano su 4 (il 23%) pensa di avere una situazione socio economica migliore di quella dei propri genitori. Il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle con basso reddito sono convinte che la loro condizione non cambierà mai. 

Il 56% degli italiani è certo che non è vero che sia cambiato qualcosa. La delusione per lo sfiorire della ripresa e per l’atteso cambiamento miracoloso ha incattivito gli italiani. Ecco perché si sono mostrati pronti ad alzare l’asticella. Si sono resi disponibili a compiere un salto rischioso e dall’esito incerto, «un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d’ora si era visto da così vicino, se la scommessa era poi quella di spiccare il volo». E non importa se si rendeva necessario forzare gli schemi politico-istituzionali e spezzare la continuità nella gestione delle finanze pubbliche. È stata quasi una ricerca programmatica del trauma, nel silenzio arrendevole delle élite, purché l’altrove vincesse sull’attuale. È una reazione pre-politica con profonde radici sociali, che alimentano una sorta di sovranismo psichico, prima ancora che politico. Che talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria, dopo e oltre il rancore, diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare. Il processo strutturale chiave dell’attuale situazione è l’assenza di prospettive di crescita, individuali e collettive. Quel rancore dell’anno scorso sconta questa doppia delusione. È questo, il rovescio del miracolo italiano, il sogno si è trasformato in un incubo. Oggi purtroppo prevalgono «una coscienza infelice, una speranza senza compimento». Da dove e da cosa ripartire: «lavoro, lavoro, lavoro», ne è convinto Valerii. 

Italiani incattiviti anche con gli immigrati. Il 63% degli italiani vede in modo negativo l’immigrazione dai Paesi non comunitari, il 58% pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, il 75% che l’immigrazione aumenti il rischio di criminalità. «Il 69,7% degli italiani non vorrebbe mai come vicini i rom», si legge nel Rapporto, mentre il 52% è convinto che si faccia più per gli immigrati che per gli italiani. 

Italiani incattiviti e anche anagraficamente vecchi. Per la prima volta nel nostro Paese ci sono più ottantenni che nuovi nati: siamo gli unici in Europa. Ci si sposa sempre meno (i matrimoni sono diminuiti del 17,4% e le separazioni sono aumentate del 14% in 10 anni) e ci si separa sempre di più. Aumenta la “singletudine”, le persone sole non vedove sono aumentate del 50% e oggi sono più di 5 milioni. 

I consumi restano un termometro utile per capire un Paese. Nel nostro, i soldi sono ancora fermi, preferibilmente in contanti. Il potere d’acquisto delle famiglie italiane è ancora inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008. I consumatori sono divenuti ferocemente intelligenti nell’adottare una logica selettiva di egolatrico compiacimento, il piacere è molto soggettivo, come l’acquisto di uno smartphone o di un tablet ultimo modello. Infatti, i dispositivi della disintermediazione digitale stanno battendo anno dopo anno nuovi record in termini di diffusione e di moltiplicazione degli impieghi. Oggi il 78,4% degli italiani utilizza internet, il 73,8% gli smartphone con connessioni mobili e il 72,5% i social network. Nel caso dei giovani (14-29 anni) le percentuali salgono rispettivamente al 90,2%, all’86,3% e all’85,1%. I consumi complessivi delle famiglie non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi (-2,7% in termini reali nel 2017 rispetto al 2007), ma la spesa per i telefoni è più che triplicata nel decennio (+221,6%): nell’ultimo anno si sono spesi 23,7 miliardi di euro per cellulari, servizi di telefonia e traffico dati. i consumi digitali che continuano inarrestabili a battere qualsiasi record.

Siamo una società senza più miti ed eroi, li abbiamo sacrificati sull’altare del soggettivismo. Nell’era biomediatica, in cui uno vale un divo, chiunque può diventare famoso, allora siamo tutti divi. O nessuno, in realtà, lo è più. La metà della popolazione (il 49,5%) è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso (il dato sale al 53,3% tra i giovani di 18-34 anni). Un terzo (il 30,2%) ritiene che la popolarità sui social network sia un ingrediente fondamentale per essere una celebrità, come se si trattasse di talento o di competenze acquisite con lo studio (il dato sale al 41,6% tra i giovani). Ma, allo stesso tempo, un quarto degli italiani (il 24,6%) afferma che oggi i divi semplicemente non esistono più.

Italiani lontani dalla politica, europeisti solo i giovani. Quasi un terzo degli italiani non vota, o vota scheda bianca. Indifferenza e sfiducia nei confronti della politica sono aumentati negli anni, e quest’anno si è raggiunto il picco, con una percentuale del non voto che ha raggiunto il 29,4%. Poca la fiducia nell’Europa, ma il 58% dei 15-34enni e il 60% dei 15-24enni apprezza l’UE, soprattutto perché dà libertà di viaggiare, studiare e lavorare ovunque all’interno dei Paesi membri. 

Aumenta lo squilibrio tra Nord e Sud. L’uscita graduale e non completa dalla crisi è andata su due binari che si sono allontanati sempre di più. Lombardia ed Emilia Romagna sono in pieno recupero, poi arrivano Veneto e Toscana, il Lazio rimane 5 punti indietro, la Sicilia 10.