Papa Francesco: “La preghiera è audace, non decorativa: comincia con la vita stessa”

Papa Francesco: udienza, “la fede che domanda è autentica”. “Al Padre possiamo raccontare tutto, anche le cose che rimangono distorte e incomprensibili”. “La preghiera non solo precede la salvezza, ma in qualche modo la contiene già, perché libera dalla disperazione di chi non crede a una via d’uscita da tante situazioni insopportabili”. Lo ha garantito il Papa, nell’ultima parte della seconda catechesi dedicata al Padre Nostro e pronunciata oggi in Aula Paolo VI davanti a 7mila persone. “Certo, poi, i credenti sentono anche il bisogno di lodare Dio”, ha fatto notare Francesco: “I vangeli ci riportano l’esclamazione di giubilo che prorompe dal cuore di Gesù, pieno di stupore riconoscente al Padre. I primi cristiani hanno perfino sentito l’esigenza di aggiungere al testo del Padre nostro una dossologia: ‘Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli'”. “Ma nessuno di noi è tenuto ad abbracciare la teoria che qualcuno in passato ha avanzato, che cioè la preghiera di domanda sia una forma debole della fede, mentre la preghiera più autentica sarebbe la lode pura, quella che cerca Dio senza il peso di alcuna richiesta”, la tesi del Papa, che ha proseguito a braccio: “No, questo non è vero: la fede che domanda è autentica, è spontanea, è un atto di fede in Dio che è padre, che è buono, che è onnipotente. È un atto di fede in me che sono piccolo, peccatore, bisognoso. Per questo la preghiera per chiedere qualcosa è molto nobile”. “Dio è il Padre, che ha un’immensa compassione di noi, e vuole che i suoi figli gli parlino senza paura, direttamente”, ha puntualizzato Francesco: “Padre, ho delle difficoltà, ma Signore cosa mi hai fatto? Direttamente. Per questo gli possiamo raccontare tutto, anche le cose che nella nostra vita rimangono distorte e incomprensibili. E ci ha promesso che sarebbe stato con noi per sempre, fino all’ultimo dei giorni che passeremo su questa terra”. “Preghiamo il Padre Nostro – l’invito finale, ancora una volta a braccio – cominciando così, semplicemente: Padre, o papà. E lui ci capisce e ci ama tanto”.

“Gesù, nella preghiera, non vuole spegnere l’umano, non lo vuole anestetizzare. Non vuole che smorziamo le domande e le richieste imparando a sopportare tutto. Vuole invece che ogni sofferenza, ogni inquietudine, si slanci verso il cielo e diventi dialogo”. A precisarlo è stato il Papa, nella seconda catechesi dedicata al Padre Nostro. “Avere fede, diceva una persona, è un’abitudine al grido”, la definizione di Francesco, secondo il quale “dovremmo essere tutti quanti come il Bartimeo del Vangelo – il figlio di Timeo – quell’uomo cieco che mendicava alle porte di Gerico”. “Intorno a sé aveva tanta brava gente che gli intimava di tacere – stai zitto non disturbare, il maestro ha tanto da fare, sei fastidioso con le tue grida – di non disturbare il Maestro con le sue grida fastidiose”, ha raccontato il Papa: “Ma lui non ascoltava quei consigli: con santa insistenza, pretendeva che la sua misera condizione potesse finalmente incontrare Gesù. E gridava più forte: e la gente educata, ‘no per favore, fai una brutta figura’, lui gridava perché voleva vedere, voleva essere guarito: ‘Gesù, abbi pietà di me!’. Gesù gli ridona la vista, e gli dice: ‘La tua fede ti ha salvato’, quasi a spiegare che la cosa decisiva per la sua guarigione è stata quella preghiera, quella invocazione gridata con fede, più forte del ‘buonsenso’ di tanta gente che voleva farlo tacere”.

“Una preghiera breve ma audace, fatta di sette domande – un numero che nella Bibbia non è casuale, indica pienezza. Dico audace perché, se non l’avesse suggerita il Cristo, probabilmente nessuno di noi, anzi nessuno dei teologi più famosi, oserebbe pregare Dio in questa maniera”. Così il Papa ha definito il Padre Nostro, nella seconda catechesi dedicata a questo tema. Nella preghiera per eccellenza del cristiano, ha spiegato Francesco ai 7mila fedeli presenti oggi in Aula Paolo VI, “Gesù invita i suoi discepoli ad avvicinarsi a Dio e a rivolgergli con confidenza alcune richieste: anzitutto riguardo a Lui e poi riguardo a noi”. “Non ci sono preamboli nel Padre nostro”, ha puntualizzato il Papa: “Gesù non insegna formule per ‘ingraziarsi’ il Signore, anzi, invita a pregarlo facendo cadere le barriere della soggezione e della paura. Non dice di rivolgersi a Dio chiamandolo ‘Onnipotente’, ‘Altissimo’ – ‘tu che sei tanto distante da noi, io sono misero’: non dice così – ma semplicemente con la parola ‘Padre’. Con tutta semplicità, come i bambini si rivolgono al papà, e questa parola padre esprime la confidenza, la fiducia filiale”. “La preghiera del Padre nostro affonda le sue radici nella realtà concreta dell’uomo”, ha spiegato Francesco: “Ad esempio, ci fa chiedere il pane, il pane quotidiano: richiesta semplice ma essenziale, che dice che la fede non è una questione ‘decorativa’, staccata dalla vita, che interviene quando sono stati soddisfatti tutti gli altri bisogni. Semmai la preghiera comincia con la vita stessa”. “La preghiera – ci insegna Gesù – non inizia nell’esistenza umana dopo che lo stomaco è pieno”, ha proseguito il Papa: “Piuttosto si annida dovunque c’è un uomo, un qualsiasi uomo che ha fame, che piange, che lotta, che soffre e si domanda ‘perché’. La nostra prima preghiera, in un certo senso, è stato il vagito che ha accompagnato il primo respiro. In quel pianto di neonato si annunciava il destino di tutta la nostra vita: la nostra continua fame, la nostra continua sete, la nostra ricerca di felicità”.

Foto Marco Calvarese/Sir