Il Natale e il fremito dell’attesa

Immagine: la musica di una delle antifone che si cantano in praparazione al Natale

Siamo nella novena del Natale. Mi ricordo, nei bei tempi della mia fanciullezza, che erano giorni di intense preghiere. Mi tornano in mente, in particolare, le “antifone O”. Me le ricordo come testi di solenne bellezza. Di queste liturgie che cosa pensi che resti ancora bello anche oggi? Lucrezia.

La novena di Natale non è più vissuta come una volta, cara Lucrezia e, probabilmente, pochissimi ne sono a conoscenza! Dai racconti delle sorelle più avanti negli anni, ho compreso che oggi, delle grandi liturgie di un tempo, rimane solo il contenuto, cuore della celebrazione, fortunatamente non soggetto ai mutamenti storici. Per questo motivo la Chiesa continua a celebrarle, come tempi di grazia che ci preparano a vivere grandi solennità.

Antichi, bellissimi testi, con vaste risonanze bibliche

La novena del Natale, che stiamo vivendo, è caratterizzata dal canto, possibilmente in gregoriano, delle 7 antifone maggiori (VII secolo) al Magnificat nei vespri e come versetto alleluiatico del Vangelo nella Messa delle ferie dell’Avvento dal 17 al 23 dicembre. Comunemente chiamate antifone “O”, per il tono invocativo con il quale iniziano, esse ci ripresentano una sintesi del mistero di Cristo e dell’evento salvifico per l’umanità intera, “che – così cantano – giace nelle tenebre e nell’ombra di morte”.

20In ogni testo si coglie la ricchezza e la serietà di tutta la missione di Gesù, al cui centro troviamo la sua Pasqua di morte e di risurrezione. Ogni preghiera è un condensato biblico che affonda le radici nella storia della salvezza, ed insieme evocativo. Nel proclamarla, infatti, si avverte sommessamente l’eco di tanti passi biblici dell’Antico e del Nuovo Testamento:

«O Sapienza, che esci dalla bocca dell’Altissimo, ti estendi ai confini del mondo e tutto disponi con soavità e forza, vieni, insegnaci la via della saggezza» (17 Dic).

«O Signore, guida della casa di Israele, che sei apparso a Mosè nel fuoco del roveto e sul monte Sinai gli hai dato la Legge, vieni a liberarci con braccio potente» (18 Dic).

«O Germoglio di Jesse, che ti innalzi come segno per i popoli: tacciono davanti a te i re della terra e le nazioni ti invocano: vieni a liberarci, non tardare» (19 Dic).

«O Chiave di Davide, scettro della casa di Israele, che apri, e nessuno può chiudere, chiudi, e nessuno può aprire, vieni, libera l’uomo prigioniero, che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte» (20 Dic).

«O Astro che sorgi, splendore della luce eterna, sole di giustizia: vieni, illumina chi giace nelle tenebre e nell’ombra di morte» (21 Dic).

«O Re delle genti, atteso da tutte le nazioni, pietra angolare che riunisci i popoli in uno, vieni e salva l’uomo che hai formato dalla terra» (22 Dic).

«O Emmanuele, nostro Re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli, vieni a salvarci, o Signore nostro Dio» (23 Dic). Con questi appellativi cristologici, invochiamo la venuta di Cristo, nostro liberatore e salvatore.

“Domani sarò qui”

È curioso e significativo, inoltre, sapere che le lettere iniziali di questi stessi sostantivi, partendo come in un acrostico dall’ultima antifona (nella lingua originale, il Latino), formano la frase «ero cras», cioè «Domani sarò qui», quasi una risposta da parte di Colui che viene insistentemente invocato.

Molta è la ricchezza contenuta in questi testi! Grazie a loro ci è possibile contemplare e gustare più profondamente il Natale del Signore! Cantate o pregate nella solitudine della propria stanza o della propria chiesa, comunitariamente o individualmente, costituiscono un prezioso bagaglio da custodire nello zaino del cuore, un tassello miliare per comprendere il senso dell’ormai prossima solennità. Per questo motivo, la loro importanza è a prova di secoli, e lo sarà ancora, di generazione in generazione.