Tutto cominciò a san Donato. Memoria di Maresco Ballini, “figliolo” di don Lorenzo Milani

E’ morto il giorno di Natale, a 87 anni, dopo una vita intera passata a difendere, da sindacalista, i lavoratori e a custodire, in modo attivo, la memoria di don Lorenzo Milani. Il suo nome era Maresco Ballini e se ho capito qualcosa della straordinaria vicenda umana e spirituale del priore di Barbiana lo devo certamente ai molti incontri fatti con lui sui luoghi di don Lorenzo.

Don Lorenzo Milani nella parrocchia di san Donato

Maresco aveva 16 anni quando vide don Lorenzo al suo paese, San Donato di Calenzano, un borgo, allora di 1500 persone, a forte concentrazione operaia, posto a metà strada tra Prato e Firenze. Era l’ottobre del 1947 e per don Lorenzo la prima vera  destinazione dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta nel luglio precedente. “Se vuoi capire qualcosa di don Milani devi andare agli anni di San Donato. E’ tutto lì dentro!”, amava ripetermi Maresco.

Anche perché don Lorenzo a San Donato stette a lungo, sette anni. “La prima volta l’ho incontrato la domenica, tre giorni dopo il suo ingresso in paese. Entrai in sacrestia, come ero solito fare per andare a salutare il vecchio parroco, e lì lo incontrai la prima volta. Lui mi vide e mi disse: “Tu sei Maresco!” Io restai meravigliato.  Era desideroso di conoscere i giovani uno ad uno.” Girando per il paese, incontrando le persone, don Lorenzo si rende conto delle profonde ingiustizie sociali e intuisce che la maggiore ingiustizia sta nel non possedere la parola: “la povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo, ma si misura dal grado di cultura e sulla funzione sociale” “La parola è la chiave fatata che apre ogni porta. Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua.” Da qui la scelta della scuola: “Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e religiosa”

L’imminente fine della cristianità

A San Donato, don Lorenzo, in modo acuto, ha la percezione netta, in anni di apparente successo della mobilitazione sociale e politica dei cattolici italiani, dell’imminente fine della cristianità.

Per un prete, quale tragedia più grossa potrà mai venire? Essere liberi, aver in mano Sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola e con tutta questa dovizia di mezzi divini e umani raccogliere il bel frutto d’esser derisi dai poveri, odiati dai più deboli, amati dai più forti.

Rileva molto presto la diminuzione della pratica religiosa e la tendenza ad un assolvimento puramente formale degli obblighi di culto. Lo annoterà, anni dopo, in Esperienze Pastorali, l’unico libro realmente scritto da don Lorenzo e nel quale rileggerà in modo particolare proprio gli anni di San Donato. Un’indagine impietosa sui contenuti della fede del popolo di San Donato, nel quale la sopravvivenza di abitudini e costumi religiosi altro non rappresenta che la labile traccia di una fede antica e ormai priva di vitalità, residuo di una civiltà cristiana ridotta ormai a mera sopravvivenza di gesti e di formule. La tesi del libro animerà il suo impegno per il resto della vita: il popolo è sostanzialmente scristianizzato oramai da tempo, anche se la mancanza di una fede viva si nasconde sotto le forme della religiosità tradizionale e trova ancora un camuffamento nel ritualismo delle pratiche devote. E’ dunque necessario che il sacerdote si consideri non più il pastore di un gregge cristiano ma un missionario in partibus infidelium e si comporti di conseguenza.

La scuola popolare, finestra sul mondo

A poco a poco, don Lorenzo butta via tavoli da ping pong e calcio balilla,  i soliti strumenti che i preti del tempo usavano per attirare i giovani e sottrarli all’influenza delle “Case del Popolo”. Nelle stanze di catechismo avvierà quasi subito la Scuola Popolare aperta per giovani operai e contadini della parrocchia, alla quale parteciperanno in tantissimi, compresi comunisti e socialisti. “Il primo frutto della scuola – diceva Maresco – fu proprio quello d’insegnarci a convivere. Prima avversari politici che comunicavano solo ad parolacce, poi persone con idee diverse ma che si confrontavano, si rispettavano e insieme compivano atti di solidarietà.” Una finestra sul mondo, attraverso la lettura dei giornali, l’ascolto della radio, l’incontro con testimoni competenti e qualificati. Uno spazio, esigente, per diventare cittadini sovrani, comprendere in modo rigoroso le questioni in gioco, assumere posizioni pubbliche su vari problemi sociali. “Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone.” In una lettera al suo amico Gian Paolo Meucci così don Milani, nel 1951, ricorda così quest’avventura:

Lo sai te cos’è per me la scuola popolare vero? È la pupilla del mio occhio destro. È funzionata 4 anni e quest’anno seguita addirittura anche d’estate perché ci vediamo ogni venerdì. È nata come scuola e lo è stata fino a poco fa. Ora è diventata qualcosa di più. Una specie di ditta, una società di mutuo incensamento, un partito, una comunità religiosa, una loggia massonica, un casino, un cenacolo di apostoli. Insomma non mi riesce di descrivertela bene è qualcosa di tutto questo e niente di tutto questo. Di comune hanno poco (neanche l’amicizia fra tutti) fuorché un bel progresso che han fatto nel cercar di rispettare la persona dell’avversario, di capire che il male e il bene non son tutti da una parte, che non bisogna mai credere né ai comunisti né ai preti, che bisogna andar sempre controcorrente e leticare con tutti e poi il culto dell’onestà, della lealtà, della serenità, della generosità politica e del disinteresse politico … Insomma, gran bravi figlioli..”

Dio non mi chiederà conto del numero dei salvati del mio popolo ma del numero degli evangelizzati”, amava ripetere don Lorenzo. Maresco mi ha detto più volte che don Lorenzo per i “ragazzi di San Donato” era anzitutto prete e poi maestro e che il suo obiettivo primario era l’evangelizzazione. “Dopo aver conquistato la nostra fiducia, don Lorenzo diventò per noi maestro, amico, consigliere, confessore, secondo babbo. Oltre al rapporto collettivo durante le lezioni, aveva un rapporto individuale molto stretto con ciascuno che coltivava con frequenti colloqui, che solitamente si svolgevano per strada e spesso, per i credenti, si concludevano con la confessione. Non operava forzature ma non c’è dubbio che il suo principale desiderio fosse quello di predisporre anche noi ad  accogliere Dio nella nostra vita, cosi come aveva fatto lui pochi anni prima.”

Maresco, discepolo fedele fino alla fine

Maresco gli sarà fedele fino alla fine. Uno dei pochi che il 7 dicembre 1954 accompagnerà don Milani nell’esilio di Barbiana. “Lui che di solito era sempre di molte parole durante il viaggio rimase in silenzio. Era triste e ricordo che pioveva tanto. Il camion che trasportava le poche cose del trasloco si fermava spesso per rifornire i radiatori. Per il maltempo don Lorenzo chiese di rinviare di qualche giorno il trasferimento ma gli dissero di no”.

L’ultima volta che ci siamo incontrati, ho chiesto di nuovo a Maresco cosa è stato per lui don Lorenzo. Mi ha risposto così: “Un credente che mi ha testimoniato una coerenza rigorosa tra pensiero, parola e azione, vissuta nell’esempio. La sua dedizione era totale e la sua vita si conformava a quella degli operai e dei contadini più poveri. Ci ha voluto bene. Non ci ha mai chiamati allievi ma figlioli. Ci esortava a rispettare la nostra dignità umana e a non offenderla banalizzando la vita, invitandoci a mirare in alto verso ideali di bene, di vero, di giusto, di bello. A praticare valori di amicizia, accoglienza, solidarietà, pace. Di fronte alle ingiustizie, a mettersi a servizio degli altri.  Poi a essere coerenti con questi valori nelle decisioni di ogni giorno, facendo prevalere su tutto il primato della coscienza.”