Géza Kertész, lo Schindler che allenò l’Atalanta. Eroe silenzioso di una guerra spietata

Un buon giocatore, un eccellente allenatore ma, soprattutto, un uomo vero in un mondo inumano. Questo fu Géza Kertész, eroe silenzioso di una guerra spietata: lo Schindler del calcio che contribuì a salvare decine di ebrei e partigiani dai lager nazisti.

Nato a Budapest nel 1894, il mediano magiaro si mise  in luce con la formazione locale del Ferencváros, prima di approdare in Italia nel ’25, acquistato dallo Spezia.
Dopo un’annata in Liguria, Géza appese le scarpe al chiodo e intraprese una lunga e fruttuosa carriera da allenatore. Dotato di una eccezionale intelligenza tattica, il mago ungherese conquistò numerose promozioni e, soprattutto, l’affetto perenne delle città in cui predicò calcio, vuoi per l’abilità strategica in campo vuoi per l’eleganza nei modi fuori dal terreno di gioco. Salernitana, Catanzarese, Roma e Lazio furono solo alcune tappe della sua invidiabile trafila sulle panchine di mezza Italia, culminata simbolicamente a Catania, dove conquistò la prima storica promozione degli etnei in B.
Nell’annata ’38-39 fu anche a Bergamo. Nonostante l’ottima stagione non riuscì, tuttavia, a portare l’Atalanta in Serie A, a causa della sconfitta all’ultima giornata contro i rivali del Venezia.

Durante la seconda guerra mondiale, complice l’interruzione del campionato italiano, decise di tornare in patria. Qui, non chiuse gli occhi dinanzi ai soprusi e alle crudeltà prodotte dall’occupazione tedesca e, nel ruolo di tenente colonnello dell’esercito,  costituì, assieme all’ ex-compagno di squadra Tóth, un’organizzazione di resistenza, salvando decine di ebrei e partigiani dai lager nazisti. A seguito delle diverse delazioni presso la Gestapo, venne arrestato nel dicembre del ’44 e poi fucilato con alcuni commilitoni, nell’atrio del Palazzo Reale di Budapest, il 6 Febbraio del ’45, qualche giorno prima della liberazione della città.

Nel nome di un ideale di uguaglianza e libertà che lo spinse a mettere in gioco la propria vita, morì uno dei maestri del calcio di inizio secolo. Un martire della patria, sepolto nel cimitero degli eroi di Budapest, le cui vicende extracalcistiche sono rimaste a lungo nascoste, dimenticate e osteggiate dal partito comunista.  Un allenatore che, nel momento più buio del secolo scorso, si dimostrò vero uomo e fu tra i pochi capaci  di pensare con la propria testa, in un epoca di pressioni e intimidazioni.