Per un’altra idea di Islam. La dichiarazione di Islamabad e la vicenda di Asia Bibi

Foto: Asia Bibi, la cristiana pakistana condanna a morte per blasfemia

Nessuno detti la vostra agenda, tranne i poveri, gli ultimi, i sofferenti. Non ingrossate le fila di quanti corrono a raccontare quella parte di realtà che è già illuminata dai riflettori del mondo. Partite dalle periferie, consapevoli che non sono la fine, ma l’inizio della città.

Con queste parole,  Papa Francesco ha salutato nel maggio scorso i dirigenti e il personale di Avvenire recatisi in udienza in occasione dei 50 anni di fondazione del quotidiano. Devo dire che il giornale da tempo ha preso sul serio le indicazioni del Papa. Con coraggio, e pur al centro di polemiche feroci spesso all’insegna della malafede, non viene meno al compito di indicare i modi che paiono non piacere troppo a chi oggi governa per stare laicamente ma da credenti dentro il nostro tempo.

“Avvenire” e una notizia importante che viene dall’Islam

In ogni caso, Avvenire è un quotidiano che merita di essere letto. Anche solo perché pubblica molte notizie che difficilmente trovano spazio in altri giornali italiani. Come “la Dichiarazione di Islamabad”: un documento firmato da più di cinquecento predicatori islamici pakistani contro il terrorismo, le violenza compiute “in nome di Dio” e gli editti (fatwe) emanate in modo indiscriminato dagli ulema radicali.

Una notizia “storica” per la repubblica islamica del Pakistan, un Paese di quasi duecento milioni di abitanti, dove i cristiani sono poco meno di tre milioni e di questi un milione sono cattolici. Una terra spesso al centro dell’opinione pubblica mondiale per la “legge contro la bestemmia” e per gli attentati contro le minoranze. Le minoranze perseguitate non solo i cristiani, ma anche i membri di sette considerate “infedeli”, come gli ahmadi (un movimento nato alla fine dell’Ottocento nel Punjab e che sostiene il carattere nonviolento della fede mussulmana) e gli sciiti.

La legge fu introdotta dagli inglesi nel 1927 e mantenuta in vigore nel 1947, dopo l’indipendenza e la separazione del Pakistan dall’India. Per trent’anni non fu applicata. Ma a partire dal 1977, dopo il colpo di stato militare di Zia-ul-Haq, in Pakistan l’islamizzazione è andata crescendo e alla legge contro la bestemmia – rimessa in auge con aggravanti – si sono aggiunte altre norme basate sulla sharia.

Per chi bestemmia Maometto è stata introdotta la pena di morte e l’ergastolo per chi profana il Corano. La commissione Giustizia e Pace dei vescovi cattolici del Pakistan ha calcolato che negli ultimi anni siano state più di mille le persone ingiustamente colpite dalla legge. Nel rapporto di Amnesty International della fine del 2016 si segnalava come, in assenza di garanzie e presumendo la colpevolezza dell’imputato, queste leggi incoraggiassero le folle a farsi giustizia da sole.

Stefano Gatto, ora ambasciatore dell’Unione Europea in Guatemala dopo esserlo stato in Pakistan, ha scritto che:

Per quanto riguarda i cristiani in Pakistan, esserlo ti destina a una doppia marginalità: personale e sociale. Un cristiano è un reietto, un essere inferiore destinato alle professioni più umili e sottomesso ad ogni arbitrio: ho vissuto casi che mi hanno toccato molto da vicino, in casa (persone che lavoravano per me accusate arbitrariamente di gravi crimini). È un gatto che si morde la coda: i cristiani sono gli ultimi della fila, hanno scarsissimi livelli educativi, nulla possibilità d’ascesa sociale e non sono in grado di difendersi dalle accuse anche più pretestuose, da ingiustizie avvengono tutti i giorni. Non solo per ragioni religiose, perché non solo i cristiani ne sono vittime, ma sociali: i cristiani sono l’ultima ruota del carro, come gli zingari nelle nostre società. Più che persecuzioni anti cristiane, in Pakistan esiste una struttura profondamente clanica e classista, che esclude chiunque non appartenga al sistema di potere sunnita. Gli sciiti sono cittadini di seconda classe, emarginati.”

Una cristiana perseguitata: Asia Bibi

Per questo, come ha fatto rilevare Lucia Capuzzi su Avvenire a  rendere ancora più eccezionale la Dichiarazione dei 500 predicatori islamici è l’esplicito riferimento ad Asia Bibi, emblema degli abusi della normativa anti-blasfemia. Arrestata il 19 giugno 2009, la ragazza cattolica, madre di due figlie, è stata condannata a morte senza prove con l’accusa di aver offeso Maometto e detenuta per 3.421 giorni fino al pieno proscioglimento, da parte della Corte Suprema, il 31 ottobre scorso. I gruppi estremisti non si sono, però, dati per vinti e hanno presentato una richiesta di revisione del verdetto. Nel frattempo Asia Bibi vive nascosta mentre le sue figlie hanno recentemente ricevuto minacce e spari. I 500 imam firmatari chiedono al ministero della Giustizia di esaminare il suo caso con assoluta priorità, in modo “da far conoscere all’opinione pubblica la verità giuridica” sulla vicenda.

Gli esperti sostengono che il riesame sia un atto formale, dato che ad esprimersi saranno gli stessi alti togati autori della sentenza di assoluzione. “Fino al pronunciamento, però, Asia Bibi resta in un limbo. Fuori ormai dal carcere, la donna è costretta a nascondersi in un luogo segreto, sotto stretto controllo delle autorità. Queste ultime cercano di proteggerla dagli estremisti, che l’hanno condannata a morte. Il rischio aumenta di giorno in giorno: da quasi tre mesi, la donna aspetta un visto d’espatrio, l’unica possibilità di tornare davvero libera, seppur in esilio. Sembra difficile, però, che le autorità pachistane glielo concedano prima dell’ultimo pronunciamento della Corte. Da qui la richiesta degli imam di un rapido pronunciamento.”

L’Islam che non fa notizia

Insomma, ancora una volta, mussulmani coraggiosi che non fanno notizia. Che raccontano un’altra idea di Islam troppo poco conosciuta dalle nostre parti.  Un Islam minoritario forse, ben diverso dall’islamismo muscolare e violento che prende la ribalta con azioni efferate e criminali. Se vogliamo lavorare per una convivialità delle differenze, è sul primo che dobbiamo scommettere e investire. Cominciando a dare parola a quanti costruiscono ponti, saltano muri, esplorano frontiere.

Da ogni parte, da ogni fede.