L’avventura di Guido Hassan, sfuggito alla Shoah. “L’antisemitismo esiste ancora, si nutre di stereotipi”

Riannodare il filo della Memoria, affinché quest’ultima possa diventare monito per le giovani generazioni e strumento di pace. È quello che ha fatto Guido Hassan quando ha raccontato a Giuseppe Altamore, giornalista e saggista, come sia scampato per puro caso con la sua famiglia alla Shoah. Il risultato è il volume “Auschwitz non vi avrà” (Edizioni San Paolo 2019, Introduzione di Liliana Segre, pp. 192, 18 euro), avvincente e drammatica narrazione di “Una famiglia di ebrei italiani in fuga dalla persecuzione nazifascista”, come recita il sottotitolo del testo. Parliamo del valore della testimonianza di Hassan – nato a Tripoli nel 1937, uno dei più attivi membri della Comunità ebraica di Milano – con Giuseppe Altamore, direttore responsabile del mensile “BenEssere, la salute con l’anima” del Gruppo Editoriale San Paolo.

La storia della famiglia Hassan inizia da lontano, dalla Libia occupata dal regime fascista. Ce ne vuole parlare brevemente?
«La famiglia Hassan ha delle radici antichissime in Libia, addirittura sembra che la famiglia paterna sia di origine berbera, infatti molti berberi erano di religione ebraica a quel tempo e nei secoli passati. La famiglia della madre di Guido invece era anch’essa ebraica ma di origine inglese ed era residente in Libia da parecchi anni. Entrambe le famiglie dei genitori di Guido erano ricche e facevano parte dell’establishment libico. La storia d’amore tra i suoi genitori s’inserisce in questo contesto in cui c’è da una parte il regime fascista, che cerca di controllare tutto, e dall’altra un padre che si preoccupa della figlia di solo 16 anni, intenzionata a sposare un uomo più grande di lei di vent’anni. Nasce un contrasto su questo punto che coinvolge le più alte autorità dello Stato – allora l’Italia occupava la Libia – e la comunità ebraica. Italo Balbo, governatore libico, chiede al rabbino capo Castelbolognesi di annullare la promessa di matrimonio, ma il rabbino capo si rifiuta perché non ci sono le condizioni dal punto di vista normativo e religioso per annullare tale promessa. Quindi il rabbino capo viene rispedito in Italia sulla prima nave disponibile mentre Linda, la futura madre di Guido Hassan, viene inviata in Italia perché Mussolini vuole conoscerla. Linda si trova a vivere per sei mesi a casa di Edda Ciano, la figlia del Duce, tutto questo nel tentativo di fargli dimenticare il suo innamorato Gino, ma invano».

Nel settembre del 1943 fu “sul Lago Maggiore che si consumò la prima odiosa strage provocata dai nazifascisti, in cui furono coinvolti uomini e anche donne, anziani e bambini”. A quella strage la famiglia Hassan sfuggì miracolosamente. Che cosa accadde esattamente?

«La famiglia di Guido si trovava in un hotel di Baveno, rifugiati lì come tanti altri ebrei in attesa di passare il confine svizzero. Gli Hassan si spostavano da un luogo all’altro nel tentativo di sfuggire ai rastrellamenti. Una mattina gli Hassan avrebbero dovuto spostarsi a Meina in un altro hotel, ma arrivarono in ritardo alla stazione e persero il treno. Quindi gli Hassan ritornarono nell’albergo da dove erano partiti. Ma nell’Hotel Meina dove la famiglia Hassan sarebbe dovuta andare, accadde il peggio. Arrivarono le SS e la maggior parte degli ospiti vennero uccisi e gettati nel Lago Maggiore. Nel frattempo gli Hassan cercarono di fuggire dal Lago Maggiore, lo attraversarono, finirono sulla sponda varesina e da lì trovarono rifugio a Crema, dove rimasero nascosti per circa sei mesi nella cantina di una canonica, dove vennero nutriti con la generosità di un orefice, Ernesto May, dichiarato Giusto tra le Nazioni».

Nel ‘43 raggiungere il territorio svizzero rappresentava una sfida tra la vita e la morte. Guido Hassan era solo un bambino quando insieme ai genitori Gino e Linda e alla sorella Fiorella trovò riparo in Svizzera. Se per intere famiglie raggiungere il confine rappresentava un’impresa eroica e dolorosa, quali sono i ricordi di Hassan che l’hanno colpita di più?
«Guido Hassan aveva solo 6 anni al tempo dei fatti raccontati nel libro, eppure ricorda tutto distintamente, la paura e il terrore hanno scavato profondamente nel suo animo. Per esempio Guido ricorda perfettamente la notte durante la quale la famiglia Hassan riuscì a entrare in Svizzera, era il gennaio del 1944. Faceva molto freddo, dopo aver dormito in una cascina non troppo lontana dal confine svizzero, nel cuore della notte gli Hassan si sono svegliati e accompagnati da un passatore si sono avviati nei boschi per poi finire sulla linea di confine. Lì avviene un episodio incredibile che Guido ricorda benissimo».

“L’indifferenza è uno dei mali maggiori dell’umanità. Coloro che decidono di non rimanere indifferenti compiono una scelta importantissima”, scrive Liliana Segre nell’Introduzione. Come si comportò Italo Balbo governatore della Libia nei confronti della popolazione ebraica locale? 

«Balbo, secondo quanto riferiscono le cronache e quanto riporta lo storico Renzo De Felice, aveva un rapporto particolare con gli ebrei: li difendeva. Addirittura durante un’occasione pubblica Balbo dichiarò che gli ebrei erano amici suoi. Finché Italo Balbo fu governatore della Libia, le cose per la popolazione ebraica andarono discretamente, lì le Leggi Razziali del ‘38 ebbero un impatto moderato. Le cose cambiarono dopo l’incidente di Balbo, nel giugno del ‘40, nei cieli di Tobruch, il suo aereo venne abbattuto dal “fuoco amico”, cioè la contraerea italiana. Si dice per errore o per un fatale incidente, questo fatto non venne mai chiarito. Di sicuro Balbo aveva molti nemici. Da quel momento in poi le sorti degli ebrei di Libia mutarono radicalmente. S’insediò un altro governatore, Rodolfo Graziani, che non aveva la stessa impostazione di Italo Balbo. Molti ebrei furono deportati in alcuni campi di concentramento libici, invece la famiglia di Guido Hassan nel 1942 venne in Italia nella speranza di trovare un destino migliore».

Secondo il “Rapporto sull’antisemitismo in Italia nel 2016” del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) di Milano, nel nostro Paese l’antisemitismo è purtroppo ancora vivo e lancia segnali inquietanti. Quanto è importante in tal senso la “Giornata della Memoria”?

«È importantissima se si riesce a discutere senza “paraocchi”, cioè non basta solo ricordare gli eventi del passato, quello che è successo durante la II Guerra Mondiale e quello che è successo a seguito delle Leggi Razziali, ma è importante riflettere sul perché c’è ancora tanto antisemitismo. Forse bisogna ragionare anche sull’antigiudaismo secolare, che è una cosa molto più difficile da sradicare. L’antisemitismo si nutre di questo antigiudaismo secolare, che ha una radice religiosa e teologica. Secoli di insegnamento del disprezzo e di teologia della sostituzione hanno creato dei mostri, che purtroppo sono ancora presenti nella stragrande maggioranza della popolazione, che non sa, non legge e che quindi non ha sufficienti informazioni, si nutre di frasi fatte e di stereotipi che appunto hanno la loro origine in questo antigiudaismo di tipo religioso e teologico».