Culle vuote anche a Bergamo: da tre anni più morti che nascite

Per anni, Bergamo aveva «resistito». Ora quel «primato» positivo non c’è più: il saldo demografico orobico tra nascite e decessi è diventato negativo anche nella terra che va dall’Adda all’Oglio, allineandosi al calo che attraversa tutto il Paese. Le culle sono vuote anche in Bergamasca: in tutta la provincia, nel 2017, per il terzo anno consecutivo, ci sono state più morti che nascite. Prima, invece, Bergamo riusciva a restare in controtendenza rispetto all’Italia e alla Lombardia.

Lo dicono i tanti numeri dell’Istat che fotografano l’ultimo quindicennio, quello in cui il problema s’è manifestato sempre più rumorosamente. Nel 2002, ad esempio, in Bergamasca si sono avute 10.426 nascite a fronte di 8.172 decessi (saldo: +2.254), mentre a livello nazionale il bilancio era già negativo (-19.195). Lo stesso accadeva nel 2007: 11.356 nascite in terra orobica contro le 8.631 vite spezzate (saldo: +2.725); di contro, il saldo italiano era «in rosso» per 6.868 unità. Poi le cifre si sono fatte più preoccupanti: nel 2012 la Bergamasca manteneva sempre un saldo positivo (+1.413), viceversa ciò non accadeva a livello complessivo italiano e per la prima volta anche lombardo (in regione, saldo negativo di 2.854 unità), e così è stato anche nel 2013 e nel 2014. Il «segno più» s’è fatto però sempre più sottile, sino a ribaltarsi: nel 2015 sono nati 9.523 bergamaschi e ne sono morti 10.224, nel 2016 9.425 nascite e 9.623 decessi, nel 2017 9.100 nascite e 10.255 morti.

Il mosaico sulla rivoluzione demografica è completato da altre variabili. Comunque positive, certo, come l’età che si allunga: la speranza di vita in terra orobica è ora di 85,1 anni per le donne e di 80,9 anni per gli uomini, mentre nel 1991 era rispettivamente di 80,7 anni e 72,8 anni. Ma la «distribuzione delle età» (nel concreto: una «piramide» che indica quanti sono i bergamaschi che per esempio hanno 21 anni, quanti quelli che hanno 35 anni, quanti quelli che hanno 80 anni) è cambiata profondamente: a fine anni Ottanta, i 22-23enni erano i più rappresentati; ora «vincono» i cinquantenni.

Sempre meno figli, dunque. «Rispetto al recente passato, le persone oggi sono più vulnerabili durante le transizioni delle fasi di vita, come il passaggio dall’istruzione al lavoro o il momento in cui si aspira ad avere figli – osserva Stefano Tomelleri, docente di Sociologia generale all’Università degli Studi di Bergamo -. Allo stato attuale, non abbiamo politiche sociali né economiche a sostegno di queste due transizioni. Le nuove generazioni vedono nella genitorialità e nell’autonomia abitativa un onere e un impegno senza supporti, senza politiche di sostegno. E tutto ciò si traduce nei risultati che sono sotto gli occhi di tutti». Nei mesi scorsi, il professor Tomelleri ha «radiografato» il mondo dei giovani bergamaschi, guidando il team scientifico del progetto «Young’s», frutto della collaborazione tra diocesi e ateneo: «La voglia di diventare genitori permane ancora nella maggior parte dei giovani bergamaschi: ciò che lamentano è l’essere in parte abbandonati, a un livello più socio-politico che familiare. I nonni e i genitori sono infatti ancora forme importanti di sostegno, anche se non riescono più a svolgere quel ruolo di welfare che rappresentavano in passato».

Casa e lavoro sono le sfide principali per chi vuole costruire una famiglia: «Un giovane laureato al suo primo impiego difficilmente ha un salario che consente l’autonomia abitativa – rileva Tomelleri -. Se prendiamo le giovani donne che entrano nel mondo del lavoro, è difficile che abbiano un contratto che consenta il congedo di maternità». Serve «un cambio di paradigma», sottolinea il sociologo, lanciando anche una proposta: «Il terzo figlio, lo dimostrano le statistiche, impoverisce il ceto medio. Bisogna allora trovare una nuova formula fiscale-economica, per esempio “trasformando” le famiglie in ”imprese familiari”, con delle agevolazioni pensate proprio alla struttura familiare. Per le famiglie più fragili, poi, servono nuove forme di sostegno alla natalità».