Il “timore di Dio”: la sua grandezza e la nostra piccolezza

Nell’omelia di domenica scorsa il mio parroco ha parlato del “santo timor di Dio”. Ne ha parlato in termini positivi, rivalutandolo, come lo stato d’animo che rispetta la “diversità di Dio”. Così ha detto. Sono rimasto perplesso. Tu cosa ne pensi? Giuliana”

Cara Giuliana, mi sorprende che il tuo parroco abbia usato nella predicazione l’espressione “timore di Dio” poiché è un aspetto divenuto un po’ sconosciuto anche negli ambienti religiosi.

Che cosa è il “timore di Dio”

Il timore di Dio è l’atteggiamento del figlio che vuole corrispondere all’amore del padre, e non quello del suddito che teme di  essere colto in fragrante mentre trasgredisce la legge. Non è la paura di Dio, della sua santità,  ma rispetto del suo “essere Dio”, totalmente altro da noi. Dio, il tre volte santo, come dice la Scrittura, si è fatto vicino in Gesù: Lui ha narrato il volto del Padre, si è fatto via perché noi lo potessimo conoscere e incontrare.  Il Dio di Gesù, il Padre dei cieli, è il nostro creatore, è vicino ma rimane distante da noi, una distanza non tanto spaziale o temporale, ma di identità, che suscita stupore e fascino. Davanti alla sua grandezza, noi ci riconosciamo sue creature, scaturite dal soffio del suo Spirito di vita, e non possiamo far altro che toglierci i sandali e affacciarci a questo mistero con tremore e trepidazione.

Dio rimane sempre un mistero da accogliere nella fede e mai da possedere totalmente: ne intuiamo qualche tratto desunto dalla Scrittura e dalla relazione filiale con Lui, dalla nostra esperienza, ma mai potremo avere la presunzione di rinchiuderlo nei nostri schemi: Egli è sempre altro da noi, ci trascende, pur amandoci di amore divino.  Il timore non è la paura, ma il rispetto della sua Santità, è l’atteggiamento di fronte al mistero della sua alterità che si può solo intuire e davanti alla quale occorre inchinarsi.

Il Dio santo si fa vicino nell’Eucarestia, in quel piccolo pezzo di pane nel quale riconosciamo la sua vita che parla di umiltà, di abbassamento, di una vita totalmente donata per amore. Noi ci inchiniamo e adoriamo tale presenza vicina che è Dio con noi. L’Altissimo si fa  prossimo sino a mettersi nelle nostre mani, ma è sempre altro da noi. La nostra fede deve tenere insieme questi “opposti” ma che dicono il volto del nostro Dio.

Una preghiera di san Francesco

San Francesco d’Assisi esprime bene questo atteggiamento filiale in una delle sue più belle preghiere che narrano l’intima relazione con Dio:

Tu sei santo, Signore solo Dio, Tu sei altissimo, Tu sei onnipotente, Tu Padre santo re del cielo e della terra. Tu sei trino e uno, Signore Dio degli dèi, Signore Dio vivo e vero. Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza, Tu sei umiltà, Tu sei pazienza, Tu sei bellezza, Tu sei sicurezza, Tu sei quiete, Tu sei giustizia e temperanza, Tu sei gaudio e letizia, Tu sei nostra speranza, Tu sei tutto, nostra ricchezza a sufficienza, Tu sei mansuetudine, Tu sei protettore, Tu sei custode e difensore, Tu sei fortezza Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra carità, Tu sei tutta la nostra dolcezza, Tu sei la nostra vita eterna, grande ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore” (Lodi di Dio Altissimo).

Sono definizioni  di Dio che sembrano inesauribili, frutto della  sua contemplazione, del suo cuore di  innamorato che si sente figlio amato, creatura nata dalle sue mani. Ma anche ogni credente in Dio, che sa di accostarsi a una terra sacra e si inchina in un atteggiamento di adorazione che lo pone nella giusta relazione di figlio.

L’adorazione diviene l’espressione più bella del timor di Dio, il linguaggio silenzioso della relazione tra l’uomo e il suo Creatore. Abitualmente, per accostarci al Signore, siamo soliti usare la preghiera di domanda o quella  di ringraziamento. L’adorazione è qualcosa che mette a nudo e  presenta l’uomo davanti a Dio nella sua realtà e verità, riconoscendo la sua grandezza e la nostra piccolezza. Questo non avviene solo davanti all’Eucarestia, ma nella sincerità e umiltà della vita abitata dalla Sua presenza.

Noi abbiamo perso la capacità di adorare e la giusta posizione davanti a Dio; abbiamo  posto noi stessi al centro, innalzandoci come dèi e impegnandoci in una sfrenata battaglia per essere riconosciuti tali e annientare tutti coloro che ci paiono nemici e non fratelli. Ritornare a un giusto rapporto con Dio che è Padre e che ci ha creati come figli, ci permette di ritrovare anche la nostra vocazione ad essere fratelli dentro quell’alterità che si fa accoglienza del dono dell’altro che ha la mia stessa identità e vocazione, che non è un nemico, ma figlio e fratello, unico come me davanti al Padre dei cieli.

Ci permette di guardare con gratitudine i nostri fratelli in umanità dai colori e dalle culture differenti senza temere, poiché tutti siamo nati dal cuore misericordioso di Dio.