Le grandi paure, l’illusione dei nuovi profeti, l’alternativa dei “Giusti” che si assumono le proprie responsabilità verso gli altri

I “Giusti” e il “Giardino dei Giusti” a Premolo con il suo primo “Giusto”, don Seghezzi, morto a Dachau

Il 6 marzo di ogni anno è stato proclamato dal Parlamento europeo Giornata dei Giusti dell’umanità. Il Parlamento italiano lo ha approvato anche per l’Italia. Non a tutti è noto. Sia perché si tende a confonderla con la Giornata della memoria della Shoah del 27 gennaio sia perché si sono moltiplicate le “giornate mondiali”, che spesso hanno una ragione sociale molto futile.

Chi sono i Giusti? Persone che si sono assunte le proprie responsabilità nei confronti degli altri, fino a rischiare la vita, per difendere i valori propriamente umani, di cui ciascuno è portatore, sotto ogni cielo di questa terra. Sono persone che hanno salvato vite umane in tutti i genocidi del ‘900 e hanno difeso la dignità umana negli anni dei totalitarismi.

Per ricordarli, l’Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale GARIWO (Gardens of the Righteous Worldwide) – promossa da Gabriele Nissim – ha lanciato in questi anni l’idea e la pratica di istituire dei Giardini dei Giusti in varie città italiane ed europee. I Giardini sono così diventati spazi pubblici, luoghi di memoria, di incontro e di dialogo, in cui organizzare iniziative rivolte a studenti e cittadini per mantenere vivi gli esempi dei Giusti non solo in occasione della dedica dei nuovi alberi o cippi, ma durante tutto l’anno. Sono come dei libri aperti che raccontano ai giovani, in primo luogo, le storie dei Giusti. Ogni anno il Comitato promotore di ciascun Giardino propone i nomi dei Giusti da ricordare.

Quest’anno su nell’Alta Valle Seriana, a Premolo, viene istituito il Giardino dei Giusti, in collaborazione tra il Sindaco, il Parroco e l’Associazione culturale Il Testimone. Il primo Giusto ricordato è don Antonio Seghezzi, nato a Premolo il 26 agosto 1906, attivo nella Resistenza e morto a Dachau il 22 maggio 1945.

A Milano, al Giardino dei Giusti del Monte Stella, saranno ricordati con un apposito cippo quattro: Simone Veil (da non confondersi con Simone Weil, la filosofa ebrea morta a Londra nel 1943), Istvan Bibo, Denis Mukwege, Wangari Muta Maathai. Notizie sulle loro vite – solo Denis Mukwege è ancora vivente – si possono agevolmente rintracciare sul sito di GARIWO.

Il senso del Giardino dei Giusti

La fenomenologia dell’odio, del risentimento, dell’aggressività, del fastidio dell’altro, del razzismo e dell’antisemitismo è, in questa fase della nostra vita pubblica, piuttosto vasta e pervasiva. Colpa dei politici? L’onda parte dai singoli, riempie la società, si ribalta sulla rappresentanza politica, che qualche volta ha la tentazione di darle forma e programma politico e la rinvia potenziata alla società e agli individui. Vero è che alcuni politici praticano da qualche tempo la tecnica cinica del surfing, su onde sempre più alte. Prima o poi ne saranno travolti, come documenta la storia del ‘900, per non andare più indietro. Ma le cause stanno ben più in profondità.

Abbiamo, in primo luogo, necessità di comprendere razionalmente le cause di quello che a prima vista appare come un sommovimento irrazionale dello spirito pubblico nazionale ed europeo. Occorre reagire, perché la storia alle nostre spalle non autorizza a rinchiuderci in una teoria dei corsi e ricorsi, che si ponga in attesa rassegnata che la notte passi e che il pendolo della storia batta di nuovo dalla parte giusta.

Alla base sta la paura o, meglio, le paure. Stanno accadendo eventi nel nostro mondo e si stanno imponendo dinamiche, che erodono i due pilastri del nostro modello politico e sociale del secondo dopoguerra: la democrazia liberale e lo Stato sociale. L’Europa, con il suo mezzo miliardo di abitanti, potente culturalmente ed economicamente, ma frammentata in 28 Stati nazionali, di cui solo 19 fanno parte della zona Euro, è sempre più divisa socialmente e politicamente stretta. Nello stesso tempo é “assediata” dalle grandi potenze asiatiche tra cui la Russia, la Cina e l’India da una parte e mentre dal Sud preme l’enorme bacino demografico africano in veloce esondazione.

L’allentamento accelerato del legame euro-americano, il ritiro degli Usa su una posizione nazionalista, il Medio-Oriente in permanente e sanguinosa fibrillazione, l’espansione commerciale cinese, le correnti di immigrazione sempre più gonfie stanno generando delle sfide, cui gli Stati nazionali europei non riescono a rispondere efficacemente e unitariamente. Essa sta subendo una riduzione di potenza.

Ma non sono gli Stati, le società, la politica che si sentono minacciati ed hanno paura. Sono gli individui europei (e americani!) che hanno paura. Cioè: ciascuno di noi. A. Panebianco argomenta che la geopolitica si può comprendere pienamente solo se ne considerano anche i micro-fondamenti, cioè noi singoli. “I nostri movimenti individuali trasmettono le nostre vibrazioni più impercettibili a destinazioni remote” (Harari).

Abbiamo paura di perdere sovranità sulle nostre vite e sul nostro destino, di diventare irrilevanti al cospetto delle forze mondiali dell’economia, della finanza, del mutamento climatico, della ricerca biotecnologica, dell’Intelligenza artificiale. Temiamo che la nostra libertà e le nostre libertà, quali statuite dal diritto e difese dalle istituzioni democratiche, siano un inutile e vuoto lusso.

Le generazioni reagiscono in modo diverso al mutamento di scenari globali/individuali. I giovani non vedono più un futuro lungo e luminoso davanti, le generazioni di mezzo sentono l’incertezza economica e sociale. Agli anziani il grande futuro della giovinezza post-bellica è scivolato alle spalle. Non è difficile convincere tutte quante le fasce demografiche che la minaccia viene da altro, dall’esterno, dall’Altro, quali che siano le gambe sul quale cammina. E che basterà costruire muri alti, rialzare ponti levatoi, chiudersi in piccole comunità e piccole patrie.

L’Altro sta diventando una minaccia. Gariwo continua ostinatamente a proporre un’altra strada, quella dei Giusti, persone che sono certamente esempio morale di assunzione di responsabilità, ma, in primo luogo, sono portatori di una lucida appercezione intellettuale del mondo. Sono donne e uomini come noi, che non hanno avuto paura delle paure degli altri e delle proprie. Vi hanno guardato dentro con coraggio intellettuale e coerenza dei comportamenti.

“Sentinella, quanto durerà ancora la notte?”. L’ammonizione profetica di Max Weber

Circa cento anni fa, nell’inverno del 1918, Max Weber prendeva congedo dell’Università di Monaco. La prima guerra mondiale era appena finita, con la catastrofe degli Imperi centrali, con una lunga teoria di milioni di morti, mentre all’orizzonte avevano già fatto la loro comparsa ideologie totalitarie e illusoriamente salvifiche.

Rivolgendosi ai propri studenti, sconvolti e attratti dal nuovo spirito del tempo, disse loro:

La semplice probità intellettuale ci impone di mettere in chiaro che oggi tutti coloro i quali vivono nell’attesa di nuovi profeti e nuovi redentori si trovano nella stessa situazione descritta nel bellissimo canto della scolta idumea durante il periodo dell’esilio, che si legge nell’oracolo di Isaia: <Una voce chiama da Seir in Edom: Sentinella! Quanto durerà ancora la notte? E la sentinella risponde: Verrà il mattino, ma è ancora notte. Se volete domandare, tornate un’altra volta>. Il popolo, al quale veniva data questa risposta, ha domandato e atteso ben più di due millenni, e sappiamo il suo tragico destino. Ne vogliamo trarre l’ammonimento che anelare ed attendere non basta, e ci comporteremo in un’altra maniera: ci metteremo al nostro lavoro e adempiremo al “compito quotidiano”, nella nostra qualità di uomini e nella nostra attività professionale. Ciò è semplice e facile, quando ognuno abbia trovato e segua il demone che tiene insieme i fili della sua vita.

La gioventù tedesca ed europea dell’epoca non gli ha dato retta e … “sappiamo il suo tragico destino”.

Il grande sociologo tedesco descriveva profeticamente la nostra condizione di oggi e definiva “il Giusto”: chiunque di noi individui si assuma la responsabilità che deriva dalla sua qualità di uomo. Giacché il demone altro non è che l’umanità che ci è comune.