La donna e la Chiesa, la festa dell’8 marzo e una “lista dei desideri” sulla quale riflettere

Il mese di Marzo è quel particolare momento dell’anno nel quale tutto ad un tratto, grazie alla giornata internazionale della donna, quelle frasi che nei mesi precedenti erano etichettate come “becero femminismo” acquistano improvvisamente, non dico valore, ma almeno un minuto dove pare possano essere ascoltate.

Chi siano le donne e come siano fatte, si sa, è un mistero. Sono complicate e piene di sorprese, tanto da non riuscire a capirci nemmeno tra di noi, figuriamoci avere la pretesa che gli uomini comprendano realmente cosa significhi essere donna.

Pensando a questo, mi torna alla mente la frase di un mio amico seminarista, quando una sera nella Chiesa Ipogea mi disse: “Le donne sono un bel problema nella Chiesa”, mi aspettavo ed ero pronta a qualche frecciatina riguardo ai problemi che possono causare sul celibato o al fatto che le donne siano spesso la causa di una qualsiasi disputa.

Invece no, quel seminarista non mi ha detto nulla di questo tipo, ma con un tono leggermente preoccupato, ha continuato il suo discorso spiegando: “Sì un problema, perché mentre sono qui, in seminario, ci sono solo uomini, ma quando poi andrò in Parrocchia? So già che lì invece sarà pieno di donne, e io non ho proprio idea di come funzionino”.

Diverse analisi statistiche confermano l’impressione del mio amico, il divario tra uomini e donne che frequentano la Chiesa e pregano ogni giorno è sempre a favore del gentil sesso, soprattutto nei paesi del Sud Europa. La religione fornisce elementi di sicurezza, un ruolo sociale e dei compiti, la cura dei piccoli, l’assistenza ai malati ecc., il che consente alle donne di sentirsi più vicine ai messaggi religiosi.

Questa affermazione supporta una visione stereotipata e pregiudiziale del contributo che una credente potrebbe portare all’organizzazione ecclesiale, ma non possiamo meravigliarci, perché funzionari e dirigenti della stessa sono coloro che “Non sanno come funzionano”.

La domanda da porsi è: “Esiste un posto per le donne nella Chiesa?” e ammesso che esista, “Quale ruolo spetta loro?”. Non voglio aprire un dibattito sul sacerdozio femminile perché, onestamente parlando, non credo che nessuna delle argomentazioni che potrei scrivere diventerebbe la chiave di volta in grado di innescare una riforma fondamentale.

Partendo dalla mia esperienza invece posso raccontare cosa vorrei che facesse, almeno per un attimo, riflettere chi abita le nostre sagrestie. Vorrei tanto che a una donna oggi venisse chiesto di fare la catechista non perché madre di famiglia, ma per la sua competenza nelle scienze umane, per l’esperienza maturata come insegnante, psicologa o educatrice.

Vorrei non fosse una sorpresa o un adeguamento alle “quote rosa” eleggere una donna a direttrice di ufficio o membro di una particolare commissione. Vorrei non fosse scontato che ad un evento da me pensato, organizzato e promosso, il giornalista vada alla ricerca di un sacerdote nonostante il mio nome compaia su tutte le locandine.

Vorrei che la presenza in Seminario delle prefetto fosse considerata uguale a quella dei colleghi maschi e non con la malizia di usarla come mezzo per evitare che “si dicano certe cose”. Vorrei che l’opinione di una donna andasse oltre la scelta dei fiori da porre sull’altare o sulla turnazione per le pulizie e la gestione del bar dell’oratorio.

Vorrei tanto sentire dei grazie e delle belle parole ogni giorno e non solo in occasione delle feste mariane. Questo è quello che vorrei. Per questo 8 Marzo la mia lista l’ho scritta, ma sono certa che i miei colleghi maschi la leggeranno e penseranno che, come sempre, da donna ho chiesto troppo.