Il cammino delle Cet, Comunità ecclesiali territoriali: protagonisti i laici

«Ricominciamo dalla vita, dalla vita di tutti», è l’esortazione di monsignor Francesco Beschi. È il disegno di un cammino quello tracciato dal vescovo di Bergamo, e la diocesi orobica riparte dalle Comunità ecclesiali territoriali (Cet), che nel «territorio» hanno la propria «destinazione»: «Il territorio non è solo geografia: il territorio è la vita, i luoghi in cui le persone si riconoscono, amano, anche soffrono».

La comunità cattolica bergamasca s’è ritrovata sabato 9 marzo a Chiuduno per la prima assemblea diocesana dei tredici consigli pastorali, un momento fondamentale per dare linfa alla riforma diocesana che ha appunto istituito le Cet, le nuove articolazioni territoriali che, superando i vicariati, comprendono – come indicato nello statuto – parrocchie, unità pastorali, fraternità presbiterali, comunità di vita consacrata e aggregazioni laicali di un’area territoriale ampia. Ma non è una semplice questione di ridisegnare dei confini: il cuore delle Cet sta nel vivere in modo diverso il rapporto con i laici, con la società.

«La vostra presenza dice non solo di una generosità, ma di una forza interiore – è il ringraziamento che monsignor Beschi ha rivolto alle centinaia di persone giunte a Chiuduno, sacerdoti e laici, coinvolti a vario titolo nelle nuove Cet -. Ci troviamo di fronte a una possibilità nuova. Che cos’è la Cet? Un esercizio di carità nutrito dalla fede, sostenuto e aperto alla speranza. La rappresentazione di questo esercizio di carità la possiamo delineare nell’esperienza del cammino. Non abbiamo semplicemente allargato i confini del vicariato locale: abbiamo avvertito un’esigenza». In maniera nitida, il vescovo ricostruisce le ragioni di una scelta: «Abbiamo percepito un certo svuotamento della forma del vicariato locale, in alcuni casi anche una certa autoreferenzialità. È una grande storia quella dei vicariati, ma non possiamo solo appellarci a una grande storia: dobbiamo essere capaci di vedere che cosa questa storia ci consegna e che cosa questa storia ci chiede. La comunità cristiana può ancora oggi raccontare la storia dei volti, una parrocchia si qualifica perché lì le relazioni sono decisive. Al centro c’è il laico cristiano: ricominciamo dalla vita, dalla vita di tutti».

«Il fine primario delle Cet», ha proseguito monsignor Vittorio Nozza, vicario episcopale per i laici e per la pastorale, è «promuovere, alimentare, elaborare in maniera costante il rapporto tra comunità cristiane e territorio, inteso come quell’insieme di mondi vitali presenti nelle aree in cui le tredici Cet sono chiamate a essere presenza viva». Le Cet non sostituiscono le 389 parrocchie della diocesi, «che hanno come vocazione prioritaria quella di favorire l’appartenenza, la cura costante e continua delle storie di vita e delle relazioni che possono intessersi», ma ne potenziano l’azione. Per esempio attraverso le «terre esistenziali» (una scelta lessicale che indica ulteriore apertura), cinque ambiti tematici su cui le Cet lavoreranno, individuando dei coordinatori «chiamati a rilanciare il dialogo tra fede e vita, avendo come protagonisti i laici stessi». «La novità della riforma – ha rimarcato monsignor Nozza – è nel declinare la ricchezza delle vite delle parrocchie con la ricchezza delle vite di tutti coloro che vivono nelle comunità. È urgente riflettere e confrontarci su quale idea di bene comune siamo portatori e costruttori».

(foto simbolica del Cammino di Santiago, Gennari/Sir)