Il nome della rosa in tv: produzione stellare, ma il romanzo è un’altra cosa

Certo 26 milioni di euro sono una bella cifretta, specie con questi venti di recessione, ma il film di rai1 è un’altra cosa: va bene il placet del compianto Eco, va bene il cast fatto di Turturro, Everett ed altri volti più o meno noti, ma “Il nome della rosa” di Eco è semplicemente altro. È pieno di allusioni che ne fanno la forza e l’identità, comprese prese in giro del lettore con citazioni di filosofi che in realtà, è il caso di Wittgenstein, verranno sei secoli più tardi. Raul Mordenti si divertì a paragonare il lettore impigliato nelle vere vere e proprie trappole citazionali del romanzo a Fantozzi, che inciampa dovunque metta i piedi, e chi scrive ha tentato di fare ordine in questa babele di riferimenti incrociati con un saggio dedicato al best-seller che ha venduto più di 50 milioni di copie. L’universo di citazioni birichine è talmente folto e inestricabile che ci si può trovare di tutto, dal Cantico dei cantici all’Apocalisse di Giovanni, da Borges a Snoopy. Gli elementi magistralmente incastonati da Umberto Eco sono molteplici: il Giallo (chi ha ucciso i monaci?), il religioso (le radicali contrapposizioni tra diversi modi di intendere la fede), lo storico (la lotta tra papato e impero e i loro alleati), il politico (estremisti francescani=brigate rosse, francescani ortodossi= Pci degli anni ‘80, papato di Giovanni XXII= multinazionali e destra), filosofico (l’esistenza, mai provata, di un secondo libro della Poetica di Aristotele), un po’ difficili da evidenziare in un film, per di più spezzettato in quattro puntate e perciò strutturato secondo le mode seriali. Anche perché una notevole importanza riveste nel romanzo la parte iniziale, ignorata nel prodotto Rai1: una voce narrante ripercorre l’avventura di un ritrovamento nel ritrovamento, un manoscritto ottocentesco che riporta un testo seicentesco che a sua volta copia un testo del XIV secolo, e in tutto questo entrano Buenos Aires e la Praga dell’invasione da parte delle truppe sovietiche nel 1968. L’espediente del manoscritto ritrovato è un elemento importante, perché si rifà a tutta una tradizione che passa per i nomi di Conan Doyle, Manzoni (il suo capolavoro nasce proprio dalla finzione del ritrovamento di un “dilavato e graffiato autografo”), Alessandro Verri, Scott tra i tanti. Per non parlare dei giochi di parole tra il Baskerville del creatore di Sherlock Holmes e il Guglielmo di Eco, tra il cieco e conservatore Jorge da Burgos con lo scrittore argentino –pure lui cieco- Jorge L. Borges e tanti altri divertimenti interpretativi che sfuggono alla dimensione filmica. Questa complessità, che investe molta della cultura antica e moderna, non è resa, forse non lo può essere, da un film in cui tra l’altro vengono messe in bocca frasi celebri a personaggi sbagliati: è il caso di “uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi” pronunciata da Arnaldo Amalrico nel libro di Eco, impropriamente attribuita a Bernardo Gui nel film di Rai1.