Alì, fuggito da solo a 13 anni dall’Afghanistan, ora fa l’avvocato

Nel romanzo “I ragazzi hanno grandi sogni”(Feltrinelli 2018, Collana “Narratori”, pp. 240, 15,00 euro) di Alì Ehsani e Francesco Casolo, gli autori raccontano una storia attualissima, emblematica, che è un monito per le coscienze di ciascuno di noi.

Alì è un ragazzino che è fuggito dall’Afghanistan in fiamme con il sogno di giungere in quella che per l’adolescente rappresenta la Terra Promessa, cioè l’Italia. Ma il sogno s’infrange presto con la dura realtà. Della tenacia e della resilienza di Alì, del suo peregrinare e di tutti quei minori migranti che soli e non tutelati sono sbarcati sulle coste italiane, ne parliamo con Francesco Casolo, nato a Milano nel 1974, appassionato di viaggi e natura, docente di Storia del cinema presso l’Istituto Europeo di Design, coautore di diversi libri.

“Roma è grande e bellissima, c’è tanta luce e viali enormi”. Com’è il primo impatto di Alì con una metropoli?

«Alì ha tredici anni quando vede Roma per la prima volta. Ci ha messo cinque anni ma finalmente ha coronato il suo grande sogno. Appena arriva a Roma Alì, nato nel 1989 a Kabul, è convinto che da quel momento in avanti, tutto sarà più facile. Quindi, quando Alì si ritrova nella piazza della Stazione Ostiense con il suo amico, immagina che andrà sicuramente in una casa. Invece quando il ragazzo si vede passare un sacchetto con delle coperte e si vede indicare il portico della stazione come il luogo dove dovrà trascorrere la notte, tutte le sue speranze e tutti i suoi desideri crollano. La sua città per alcuni mesi sarà fatta di centri di accoglienza, case famiglie, ricoveri della Caritas e luoghi dove Alì sa che può incontrare altri afghani come lui. Per Alì, memore del monito paterno: “Devi studiare”, l’Italia è la terra che gli può dare la possibilità di studiare. E così accadrà. Alì studierà e arriverà fino alla laurea in Giurisprudenza. Ora Alì sta ancora studiando, fa il praticantato per poi sostenere l’esame di avvocato. Nel libro, dall’altro lato, ci sono anche le storie di chi invece non ce l’ha fatta. Cerchiamo di far capire quali sono i motivi che portano i ragazzi a perdersi per strada, raccontiamo destini diversi di ragazzi che non hanno una famiglia alle spalle e nessun tipo di supporto. La determinazione e la volontà di arrivare possono fare tantissimo in questo senso».

Che cosa insegna alle giovani generazioni la storia di Alì?
«Alì ed io giriamo in moltissime scuole, la prima domanda che i ragazzi pongono ad Alì è la seguente: “Come hai fatto ad avere tanta forza?”. Molti ragazzi dicono di aver capito di essere fortunati dopo aver letto il romanzo, di aver dato per scontato molte cose, a cominciare dalla famiglia. Un pasto caldo, un tetto sopra la testa, non sono cose scontate per molte persone».

“I migranti minorenni sono “tre volte indifesi, perché minori, perché stranieri e perché inermi, quando, per varie ragioni, sono forzati a vivere lontani dalla loro terra d’origine e separati dagli affetti familiari”ha ricordato Papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Secondo i dati raccolti nell’ultimo Rapporto immigrazione Caritas e Migrantes a oggi i minori immigrati presenti in Italia sono 1.085.274, ovvero il 21,6% del totale degli stranieri. Bambine, bambini, adolescenti inermi. In questo “mare magnum” di persone, a quali rischi vanno incontro?
«Sono un po’ un’esasperazione dei rischi cui vanno incontro gli adulti. Una persona senza soldi è debole, senza famiglia lo è ancora di più, se questa persona ce la immaginiamo come un bambino che già è debole e indifeso perché è un bambino, i rischi diventano dieci volte tanto. Alì a 13 anni è dovuto andare a richiedere il permesso di soggiorno, una cosa importante da fare tutto da solo e senza soldi in tasca. C’è da dire che Alì è riuscito a trovare persone che l’hanno aiutato, aiuti materiali ma non solo. È molto importante trovare qualcuno che ti appoggia, ti sostiene e che crede in te, questo ci insegna la storia di Alì, che è riuscito a emanciparsi dal suo tragico passato».

Possiamo dire che il tema centrale del romanzo è quello dell’accoglienza, quanto mai attuale e mai tanto messo in discussione nel nostro Paese come adesso?
«Sì, il romanzo si muove su due livelli: fa capire sia l’importanza di dare un’occasione a questi ragazzi e sia quanto possa essere importante che questi ragazzi si responsabilizzino. A tutti si deve chiedere di dare il proprio contributo, nel libro abbiamo raccontato la storia di questi giovani per informare il lettore delle difficoltà e delle problematiche di queste giovani vite. Nello stesso tempo facciamo vedere come sia importante che questi ragazzi accolgano tutto quello che ricevono. A tutti loro viene offerta un’occasione. “Io mi ricordavo sempre quando stavo al centro di accoglienza che dovevo sfruttare al meglio l’occasione che mi era stata data”, rammenta Alì».

C’è chi asserisce che per quanto riguarda l’immigrazione il vero problema non è l’accoglienza ma l’integrazione. Che cosa ne pensa?

«Sono due tappe, se non accogliamo, non integriamo. Al momento che accogliamo dobbiamo prevedere dei sostegni all’integrazione. Emblematica l’esperienza di Alì. Se noi abbiamo un sistema che dà la possibilità a un ragazzo di imparare la lingua, frequentare la scuola, entrare in un circuito virtuoso di apprendimento, allora diventa possibile. Dobbiamo capire che in questa particolare fase storica la convivenza è inevitabile e ineluttabile. Bisogna farne una forza e non una debolezza».