Strage in Nuova Zelanda: l’odio per chi è diverso non prevalga

Venerdì 15 marzo, mentre pregavo la Via Crucis con i fedeli, li ho invitati ad aprire il cuore, a creare un po’ di spazio e a ricordare, insieme alle persone care, le 49 vittime della Nuova Zelanda. Ci siamo messi insieme in cammino dietro a Cristo sofferente, che questo venerdì è stato crocifisso nei corpi uccisi di quei musulmani in preghiera. Abbiamo pregato in raccoglimento e silenzio, tutti insieme, quasi a continuare quella preghiera interrotta delle 49 persone la cui vita è stata troncata in modo crudele.
Un crimine, un atto terroristico, che ha una sola causa, una sola giustificazione: l’odio. Per chi è diverso, crede e pensa in modo diverso. Ma anche per chi è immigrato.
Viviamo in un mondo che pare essere sempre più una pentola a pressione. Nonostante si cerchino valvole di scarico, eventi come questo indicano che qualcosa continua a non andare. Sembra che il male abbia una missione, quasi come il bene, con la differenza che la prima usa qualsiasi mezzo, pur di averla vinta, pur di dominare la vita di individui e d’intere società. Quando l’uomo perde la ragione – e la violenza è contro la ragione, come disse Papa Benedetto a Regensburg – la sua vita diventa una giungla, la società stessa diventa tale, e così l’unico “equilibrio” da mantenere e raggiungere sembra essere quello della sopravvivenza a ogni costo, anche eleminando il proprio simile.
Eppure non ci è data un’altra terra da vivere, non un altro mondo o un pianeta sul quale trasferirci. Ci è dato solo questo pianeta: ed è questo che noi dobbiamo impegnarci a rendere migliore.
Purtroppo ciò che è accaduto in Nuova Zelanda scoraggia e mette un velo nero sui tentativi di tanta gente di buona volontà per creare un mondo migliore.
La morte di quei musulmani, mentre pregavano o uscivano dalla preghiera, è la morte degli innocenti ed è una ferita per l’umanità che vuole vivere pacificamente. Certamente possiamo rendere il mondo migliore. Ma come? Da dove partire?
In questi giorni giunge la notizia della candidatura di Greta Thunberg, un’adolescente svedese, a premio Nobel per la pace. Si è impegnata per il clima e contro il riscaldamento globale, contro il terrorismo ambientale. Un grande insegnamento… I giovani da tante parti del modo stanno indicando la strada a noi adulti. Mi sembra un’immagine biblica: il fanciullo che guida (Is 11,6). Così come tanti giovani sono andati nelle piazze a dire di no all’inquinamento. La voce dei giovani può aiutarci a rendere migliore il mondo. Perché hanno la capacità di frequentare il futuro.
Dando spazio alla loro creatività e, soprattutto, impegnandoci nella loro formazione possiamo combattere tutti i fenomeni negativi delle nostre società, tra i quali l’intolleranza verso chi è straniero, di diverso colore, pensiero e credo religioso.
Oggi più che mai siamo poi chiamati a promuovere quei modelli di convivenza che già ci sono in diverse parti del mondo. Da questo punto di vista, senza presunzione alcuna, l’Albania è un Paese che può dare molto, con il suo modello di convivenza tra religioni. È un valore per noi e cerchiamo di tenercelo stretto. Anzi preghiamo, ciascuno nella sua religione, che non sia solo la buona volontà a tenerci uniti e in armonia, ma soprattutto la forza di Dio, di quel Dio che un giorno ci chiederà conto di quanto abbiamo amato, il fratello-amico e il fratello-nemico, il fratello-simile e il fratello-diverso.
È proprio vero quanto affermava il saggio musulmano Jalaluddin Rumi: “Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù”.

(*) ​Gjergj Meta, vescovo di Rreshen (*)