La storia di San Gerolamo Miani: una vita spesa a servizio dei poveri di Bergamo

Girolamo Miani nacque a Venezia nel 1486, ultimo dei quattro figli di Angelo e Dionora Morosini. La famiglia apparteneva all’aristocrazia veneziana i cui membri facevano parte di diritto del Maggiore Consiglio e venivano chiamati ad esercitare le cariche della Repubblica Veneta. Girolamo fu coinvolto nella guerra che oppose Venezia all’Imperatore di Germania ed Austria, a papa Giulio II e al re di Francia. Nel 1511 era comandante del presidio di Castelnuovo di Quero sul Piave. Espugnata la fortezza da forze nemiche superiori, fu fatto prigioniero e miracolosamente liberato da una Donna vestita di bianco, identificata con la Vergine Maria. Essa gli consegnò le chiavi con cui aprire i ceppi cui era incatenato  e la porta della prigione. Passò inosservato tra le truppe nemiche e si rifugiò a Treviso. Da questo momento abbandonò la vita mondana e disordinata tenuta fino ad allora e iniziò un sofferto cammino spirituale, benché continuasse a prestare il suo servizio alla Repubblica fino al 1527. Ritornato a Venezia da Castelnuovo, prese a frequentare i soci della Compagnia del Divino Amore di Venezia, nella quale figuravano illustri personaggi, che miravano ad una seria riforma personale e della Chiesa, soprattutto attraverso le opere di misericordia, da esercitare nella carità di Dio, cioè secondo l’Amore divino. Non dobbiamo dimenticare che questi erano i tempi della diffusione in Europa della Riforma Protestante, iniziata da Lutero nel 1517. Girolamo si mantenne fedele alla Chiesa Cattolica, preoccupandosi di riformarla al suo interno, senza ribellioni. Rinunciò a tutti i suoi beni per seguire Cristo, ponendosi a servizio dei poveri e degli orfani. Proprio nel 1528 era scoppiata una terribile carestia nel Nord Italia, cui seguì un’epidemia mortale. Venezia fu invasa da crescenti turbe di disperati, che trovarono in Girolamo uno dei più convinti e generosi benefattori. Passava da un luogo all’altro in città e “quelli ch’erano infermi e vivi sovveniva con tutte le sue forze e i corpi dei morti, che alle volte trovava per le strade, sopra le spalle portava ai cimiteri e ai luoghi sacri”. Questa la testimonianza di un amico, che fu anche il suo primo biografo. Per i numerosi orfani predispose una casa con laboratorio e bottega, ove si vendevano i prodotti del loro lavoro. Tale esperienza è molto importante per l’assetto delle future case fondate da Girolamo.

Su richiesta del vescovo di Bergamo, Pietro Lippomano, i dirigenti del Divino Amore di Venezia, tra cui figuravano personalità di primissimo piano come S. Gaetano Thiene e Paolo Carafa, il futuro papa Paolo IV, lo inviarono a Bergamo nella primavera del 1532 per organizzare le opere di carità. Dopo aver sostato a Padova, Vicenza, Verona, Brescia, ospitato dai confratelli del Divino Amore, giunse a Bergamo, dove era vivamente atteso. Nel sobborgo di S. Leonardo, l’odierno Borgo S. Alessandro, in alcuni locali adattati dai dirigenti dell’ospedale della Maddalena – situata all’inizio dell’attuale via Borfuro – raccolse orfani e derelitti; le orfane trovarono una casa vicina al Pozzo Bianco, in Città Alta. Un’altra miseria, che colpiva pesantemente la città, era la prostituzione. Egli si mise alla ricerca delle donne dedite a questa vita, le affrontava, ragionava con loro lungamente. Riuscì a convincerne un buon numero a cambiare vita e le riunì in una casa della contrada di Pelabrocco, dove alcune nobili signore si erano offerte per assisterle. Al 1532 risale l’istituzione della prima Compagnia dei poveri, formata dagli orfani e dai loro educatori, i futuri padri Somaschi. Agli orfani veniva insegnato a leggere e a scrivere e ad imparare un mestiere; erano diretti dai religiosi  che rinunciavano al mondo e a tutti i loro beni, per vivere secondo la regola del Vangelo. Tra essi figurano i sacerdoti Agostino Barili, originario di Endine e successore di Girolamo, e Alessandro Besozzi. Essi si preoccupavano solo della formazione, perchè l’aspetto amministrativo e organizzativo era affidato ad una Congregazione di cittadini nobili, che seguivano la vita dell’Istituto e si impegnavano nella raccolta dei mezzi necessari per la prosecuzione della sua attività. In tal modo Girolamo riusciva a coinvolgere nelle sue iniziative benefiche tutta la città. Tra i collaboratori figurano nobili, come  Domenico Tasso, Gianfrancesco Albani, Mario Lanzi e i mercanti Girolamo Sabbatini e Ludovico Viscardi. Analogamente ad una Compagnia di nobili dame aveva affidato le orfane e la casa delle ex prostitute o “convertite”.

Durante i suoi viaggi il Miani aveva potuto osservare l’enorme ignoranza delle popolazioni della campagna, abbandonate da un clero in larga parte impreparato. Diede allora vita a vere missioni catechistiche. Istruì accuratamente alcuni dei suoi fanciulli, con i quali visitò il contado bergamasco, spingendosi fin verso Crema. Durante la giornata divideva con i contadini il duro lavoro dei campi, poi la sera li radunava ad ascoltare i suoi orfani, che esponevano le verità di fede “invitandoli a pensare alla beata vita del santo Evangelo”. Insegnava loro anche canti religiosi, con i quali avrebbero potuto accompagnare la loro giovane fatica. Visti i bisogni e i frutti di rinnovamento cristiano, Girolamo portò questa esperienza in altre città: Pavia, Como, Brescia. Particolarmente importante fu la fondazione di Milano. Nel novembre del 1533 un gruppo di 35 orfani lasciava Bergamo diretto a Milano. Li guidava un uomo che vestiva una lunga veste nera, calzava scarpe grosse e aveva in capo una berretta di panno nero. Un povero all’aspetto, che andava elemosinando per amor di Dio, con la sacca in spalla per sè e per i suoi. Era Girolamo che a Milano fondò il celebre orfanatrofio dei ” Martinitt”. Esteso in tutta la Lombardia, l’intero movimento aveva bisogno di un centro che Girolamo individuò nel villaggio di Somasca, ai confini della Repubblica Veneta con il Ducato di Milano.  Con i suoi compagni si stabilì sulla Rocca del castello, che era stato ridotto ad un rudere pochi anni prima. Le costruzioni che si aggiunsero permisero di istituire un orfanatrofio, che raccoglieva i ragazzi dei dintorni. Anche qui Girolamo ripeteva spesso le puntate nelle campagne, accompagnato dai suoi ragazzi, per lavorare, impartire l’istruzione catechistica e soccorrere poveri e malati. Tutta questa attività era sostenuta da ore di preghiera, alle quali Girolamo si abbandonava lungamente. Con delle canne aveva chiuso una grotta sotto lo sperone della montagna e ricavato l’eremo, il luogo prediletto dove si trovava a pregare sotto una croce di legno. Coloro che lo conobbero sottolinearono coralmente la vita austera di penitenza che conduceva: mangiava il pane più duro; non beveva vino, se non raramente e frequenti digiuni; si disciplinava con i flagelli e dormiva sopra assi, paglia e pietre.

Sul finire del 1536  una malattia infettiva invase la valle San Martino. Girolamo ancora una volta fu pronto al servizio di tutti, sia in casa, dove molti erano stati colpiti dal male, che fuori casa. Purtroppo anch’egli contrasse la peste. Il 4 febbraio fu raccolto a Somasca in una stanzetta di amici. Prima di adagiarsi definitivamente su un letto non suo, tracciò una croce sulla parete di fronte. Quattro giorni dopo, nella notte tra il 7 e l’8 di febbraio moriva. La Chiesa lo ha proclamato beato nel 1748 e santo nel 1767. Pio IX lo ha dichiarato patrono degli orfani e della gioventù abbandonata del mondo. Il santuario di Somasca, in cui si conserva la tomba, è ancora oggi meta di numerosi pellegrinaggi.