Caro Ivo, fratello,
la scorsa settimana, parlando tra noi de la quinta poeséa de Quarésma in fase di presentazione su questa rubrica che diceva di don Silvio e della sua Passione, hai evocato, nell’attraversamento della settimana santa e del sacro Triduo Pasquale della Morte e della Resurrezione, rappresentazioni del sentire il dirsi della Passione nell’Urlo del Venerdì e di quello della Passione nell’Affidamento e dell’Attesa. Un parlarne sollecitato anche da un comune sentimento che ci prende, verso la Passione, poeticamente cercato e, nel suo tempo, filo importante del legame fra noi.
Quale che sia la Passione che da vivi interpretiamo, Gioàn è una poesia della Passione che ho scritto a sollecitazione/reazione di/a una tua poesia della Passione (infatti te l’ho dedicata), mandatami, puntualmente il Venerdì Santo di qualche anno fa. Una bella poesia (non riesco a trovarla ma ce l’ho sicuro) dove, pur non tralasciando l’Urlo del Venerdì, il Crocifisso consegnava reciprocamente la Madre e Giovanni, avvalorando il segno dell’Affidamento in ciò che succederà.
Ma ’l Gioàn?– mi è venuto da scrivere, che Passione vive Giovanni, che Urlo del Venerdì ha da sentire, per capire, per ascoltare questo lascito peso d’esser Fratello e Figlio nella famiglia strana e devastata di Nazareth ?
Non c’è dubbio del mio vivere la Passione nell’Urlo contro la Morte, e l’angoscia del Gioàn è ciò che si è fatto sentire; con l’ultima sete, il dolore di Figlio.
Figlio, (mi provocava Franco Loi in una discussione avuta su questo testo), è l’unica parola, pur agra, di speranza della poesia. Vale tanto, gli rispondevo, è stata detta dalla Croce.
L’hai scritto anche tu.
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Ivo Lizzola sabato 19.34
A me
Grazie, fratello mio.
Grazie del ricordo e della tessitura di parola tra noi. Ancora.
Certo quando ti trovi nel ventre del pesce temi non vi sia più respiro di speranza, ti pesa anche uno sguardo di tenerezza. Ti pesa la pietà. Forse solo l’offrirti ad altri, cogliendo la loro muta situazione di abbandono e di dolore ti può rioffrire il desiderio di vita, il senso di doni ricevuti via via.
Occorre provare a cogliere l’invito ad offrirti a madri orfane doloranti, a offrirti a figli d’altri e dell’abbandono.
“Donna, ecco tuo figlio!”, “ecco tua madre…”: di nuovo a stringere tra i denti, e poi piano piano a ritessere la vita, e la speranza, l’offerta, la dedizione. E la morte non vince: non ha il suo morso di vuoto l’ultima parola.
Che sia una buona Pasqua di Resurrezione. Per tutti noi.
GIOÀN
Ol fà bösiér
de la nòcc
l’à sgargiàt a cortèl
la slabrada di ülìv
e bunura la stanta
sgürlida
tra spade e bastù,
us de ’ngàn
e malura
i te ‘mpresuna la dé
malpundida.
La criderà öna bóca
dal lègn
carne crüa la sarà
e lèngua de stròss
ol sangh
a marcà i décc
e ’l destì trésto de l’òm
che spüda éna
sö i ciócc
’n del dòpomesdé
de spacaòss.
To sentiré l’öltima sit.
Invìs de aqua che crida
sö sofegade us de fòss,
no tó saré che fiöl
e spàsem
de asìt.
GIOVANNI
Il sapore bugiardo
della notte
ha frugato a coltello
la slabbrata degli ulivi
e buonora stenta
scossa
fra spade e bastoni,
voci d’inganno
e malora
ti imprigionano l’alba
malriposta.
Griderà una bocca
dal legno
carne cruda sarà
e lingua da strozzo
il sangue
a marcare i denti
e il destino triste dell’uomo
che sputa vena
sui chiodi
nel pomeriggio
da spaccaossa.
Sentirai l’ultima sete.
Desiderio d’acqua che grida
su soffocate voci di fosso,
non sarai che figlio
e spasmo
di aceto
.
A Ivo Lizzola
da RESISTÈNSE Interlinea edizioni Novara 2016
(Il dipinto è di Piergiorgio Noris)