El niño mudo, Ol s-cetì möt. I versi di García Lorca in dialetto bergamasco

OL S-CETÌ  MÖT del Garsía Lòrca, de ótre lune e de óter vèncc. Del fatto che ci siano poesie che mi ri-suonano in lingua prima, come ragione della poesia tradotta, si è già detto. Con questa poesia di Federico García Lorca però c’è un sasso in più; non è tanto il fatto che è una poesia che canta – in quel trio tra due lingue e la poesia – che ne spinge la ragione, ma è proprio lui, il poeta con la sua poesia, che rapisce la mia lèngua prima nel suo parlare. Ciò non è, per la mia pur piccola esperienza di poesia, un sasso piccolo.

Nello storytelling personale si racconta che, un giorno di qualche tempo fa, ho urtato, per caso o per rallentato controllo corpo-spazio dell’uomo maturo, un libro mal posto nella libreria, libro che cade a muso in giù e tale rimane, sbilenco e leggermente aperto. Il libro, blu e giallo, è il primo volume di García Lorca Tutte le poesie, della Garzanti, nella, penso, mitica prima edizione, del 1975, curata da Carlo Bo. Comprato quindi quando avevo 17/18 anni, 2.500 lire i due volumi. Raccolgo il volume, alla pagina semiaperta e guardo: Teta roja del sol. / Teta azul de la luna. // Torso mitad coràl, / mitad plata y penumbra…è ciò che ho visto, però a parlata voce mi è venuto: Tèta róssa del sul. / Tèta azör de la lüna. // Böst metà coràl, / metà arzènt e penómbra. È l’Arlechì delle Canciones 1921/24, Lorca aveva poco più di vent’anni quando la scrisse. E qui, chiedo scusa, ma l’italiano, e grande rispetto per Carlo Bo, è solo lingua politica (sosterrebbe Franco Loi) e scompare di fronte alla intensa intimità della parlata profonda… La pre-potenza poetica di Federico, nella sua azione di rapimento linguistico, è un dono, un lamposgiantìzo direbbe Meneghello, che Lorca offre alla mia lingua prima, restituendola, de ótre lune e de óter vèncc, una parlata limpia, vestita da festa. Un cante jondo.

Il cante jondo si avvicina al cinguettio dell’uccello, al canto del gallo ed alle musiche naturali del bosco e della fonte” G. Lorca 1922, Madrid, Conferenza sul Cante Jondo.

È una poesia di viaggio e d’apprensione rimbalzata con mio figlio, anche lui poco più che ventenne che conduce la sua autarchica vita, nella cambusera delle Canarie, e che è ormai mezzo spagnolo anche di testa oltre che di lingua… mando sempre delle poesie a chi voglio bene… che capisce di pancia il bergamasco, che pensa come uno spagnolo, e che, accidenti, c’ha l’occasione di conoscere in modo bergajondo il poeta andaluso suo conterraneo. Occasione da prendere con urgenza visto i rigurgiti franchisti di questi tempi, che rischiano di ammazzare il Federico un’altra volta… questa ed altre poesie di Lorca sentite in lingua prima, saranno presto una piccola raccolta, tra poesia e musica, in un libro-CD di prossima pubblicazione.

PER SENTIRE:

OL  S-CETÌ  MÖT

Ol s-cetì a l’sirca la sò us,
(La ghe l’ìa ’l rè di grì),
In d’öna góta de aqua
a l’sircàa la sò us ol s-cetì.
 
La öle mia per parlà,
me n’faró ön anèl
che l’porterà ol me fa sito
al dit marmelì.

In d’öna góta de aqua
a l’sircàa la sò us ol s-cetì.
 
(La us presunéra, ’llontà,
la sa metìa ö estìt de grì).

EL NIÑO MUDO

El niño busca su voz.
(La tenía el rey de los grillos.)
En una gota de agua
buscaba su voz el niño.

No la quiero para hablar,
me haré con ella un anillo
que llevará mi silencio
en su dedo pequeñito.

En una gota de agua
buscaba su voz el niño.

(La voz cautiva, a lo lejos,
se ponía un traje de grillo.)

 

IL BAMBINO MUTO. Il bambino cerca la sua voce. / (L’aveva il re dei grilli). / In una goccia d’acqua / cercava la sua voce il bambino. // Non la voglio per parlare, / me ne farò un anello / che porterà il mio silenzio / al dito mignolo. // In una goccia d’acqua cercava il bambino la sua voce. // (La voce prigioniera, lontano, / si metteva un vestito di grillo).