Sö l’ös. Ol zögadùr de bigliàrd, il giocatore di bigliardo. Una sfida con se stessi e con la vita

OL ZÖGADÙR DE BIGLIÀRD. In poesia, il dialetto e l’uso del dialetto/lingua prima, non solo, a me, si rappresenta come la lingua o la parlata della profondità, ma trova definizione anche la sua specifica vocazione ad essere la lingua della realtà, direbbe Pierino Marelli. Il limite della carenza di terminologia astratta tipica dei dialetti/lingue prime compresa la mia, mette in moto una dinamo che carica di suoni e di simboli i soggetti e gli oggetti della realtà, della quotidianità e della vicinanza che si dispongono a filtro e a vestito del parlare fondo che vien su…

Le boccette da biliardo sono, per quelli della mia generazione e per  la generazione precedente, l’estensione adulta del gioco delle biglie. Vi è una parabola vitale, costituita da ciche –> bocète –> bóce che fa si che fioriscano e perdurino nel tempo, in paese, carriere di buoni giocatori, certo, molte delle quali frammentarie, ma alcune con ottima tenuta, anche cinquantennale, che da sole bastano e avanzano all’immagine locale delle abilità sociali di chi le interpreta…   Le biglie sono  istinto, scoperta, apprendistato, le boccette sono prestazione tecnica, tensione ed esperienza, le bocce sono pazienza, astuzia e riconoscimento, giacché il “sòch” della boccia sulle assi scarica i residui di aggressività dei vecchi giocatori già un poco stanchi di loro…

Non sono mai stato bravo a giocare a boccette, però mi è sempre piaciuto vedere giocare, nei bar del paese. Più che giocare a gorissiana, o all’americana o a punto, ciò che contava era tra chi la partita si giocava. Fumo basso da bar, il silenzio, l’uomo e la boccetta una cosa sola in una sfida di stile di gioco che è di stile di vita, tra giocatori. in un evento che segnava profondamente il  tono della loro giornata e tratteggiava s-cioponi di identificazione negli spettatori che a volte eccedevano nell’emozione; come quando l’Ufo, assiduo spettatore con immancabile calice di nero a fianco, dopo un filotto del suo giocatore preferito, lo prese per le orecchie e a 5 cm dalla faccia gli urlò: brào! brào! brào! o ‘mpestàt! E lo baciò a lungo sulla bocca… Insomma, parafrasando Paolo Conte: eravamo in un mondo adulto e si sbagliava da professionisti, tu da tu du! 

Oggi le macchinette slot, incatenano il lato ombroso del giocatore e lo spettatore non esiste. Il giocatore si danna da solo, si scanna con sé stesso, onanista, e nega l’altro sia come compagno di gioco che come spettatore del gioco.  Il mio paesein una recente inchiesta del settimanale l’Espresso, risulta essere la realtà locale che, in tutta la Val Seriana, ha la più alta concentrazione di sale dedicate al gioco e la più alta spesa pro-capite, ben 2.373€ (con un valore di giocate complessive nel 2016 pari 42,60 milioni di ).

Dice di questa poesia Franco Loi: …..prendiamo “ Il giocatore di bigliardo”: “Ol zögadùr / a l’pisa / l’öltima biglia / ma l’è finida / la partida”. Non avvertiamo subito il nostro coinvolgimento? Si tratta di un giocatore di bigliardo o di un uomo a confronto con la vita? Cosa soppesa, la boccetta o gli avvenimenti su cui riflette? E l’ultima biglia non somiglia a un’ultima possibilità? E’ anche per questo che “sul biliardo si piega lento / come avesse una ferita” e quest’ultimo tiro “ è un dolore che arriva da lontano”. Non si tratta solo di un gioco e, del resto, per un bambino il gioco non ha l’importanza di una prova con se stesso e con la vita?

Sì, il dolore arriva da lontano, giacché assomma tutti i travagli e i rimorsi e le nostalgie e gli errori di una intera esistenza. Ma proviamo anche a soppesare quel “per non morire due volte”. Lo sappiamo o lo abbiamo qualche volta sentito dire o l’abbiamo letto da qualche parte che la vita è un incessante “morire e rinascere”.

Si muore all’uomo che ci siamo immaginati di essere, a volte nell’infanzia o nell’adolescenza o via via via nel crescere, e speriamo di rinascere ad una nuova immagine di noi. Si spera sempre che un giorno ci si possa cimentare con l’ultima morte e l’ultima rinascita. Non solo. Speriamo di aver imparato la lezione, che non sia necessario morire ancora per realizzare noi stessi – non si vorrebbe mai riaffrontare il dolore per passare a nuove immagini di noi. Si vorrebbe aver “rinchiusa la notte / che chiama e grida”. Forse nessuno ha spiegato agli uomini che persino la morte corporale è necessaria al nostro cammino di uomini sordi e ciechi…

PER SENTIRE:

OL ZÖGADÙR DE BIGLIÀRD

Ol zögadùr
a l’pisa
l’öltima biglia
ma l’è finida
la partida.

Sö ’l bigliàrd
a l’se piéga lènt
compàgn se l’gh’ès
öna ferida.

Ol tir
l’è ö dulùr
che l’rìa da lóncc
per mia mör du ólte
e ’nserà la nòcc
che la ciama
e vusa.

Ma l’è tròp tarde:
filòt
fósch
büsa.

IL GIOCATORE DI BIGLIARDO

Il giocatore
soppesa
l’ultima biglia
ma è finita
la partita.

Sul bigliardo
si piega lento
come avesse
una ferita.

Il tiro
è un dolore
che arriva da lontano
per non morir due volte
e rinserrare la notte
che chiama
e grida.

Ma è troppo tardi:
filotto
buio
buca.

 

da ZÖGADÙR Teramata Edizioni 2013 BG