Le prime comunioni. Una indescrivibile emozione. Per i bambini, i genitori. E per me, prete

Ogni anno la stessa sensazione. Dopo il corteo insieme alle famiglie, partito dall’Oratorio, passato attraverso la piazza del paese e finalmente giunto presso la chiesa parrocchiale, salgo all’altare insieme ai confratelli sacerdoti e, guardando la navata della chiesa, gli occhi si inumidiscono.

Davanti a me, nella splendida chiesa parrocchiale di Grumello, opera dell’architetto Caniana, ci sono settanta cuccioli d’uomo, emozionati, con le loro vestine bianche. Prima del canto iniziale che introduce la celebrazione, le mamme mettono loro al collo una croce di legno. È per loro il giorno della Prima Comunione.

La chiesa, grazie all’impegno di un apposito comitato di genitori e dei catechisti, è ben preparata. C’è il Vangelo che ci ricorda l’importanza di ascoltare la voce del Buon Pastore: ecco dunque settanta pecorelle frutto del lavoro dei genitori, insieme a un pastorale che richiama la funzione di guida del pastore.

Immersi in un mistero che ci supera

Guardo i piccoli. Sono stato tante volte con loro per la drammatizzazione e la spiegazione del Vangelo. Li conosco, loro e molte delle loro famiglie. Mi chiedo cosa stia succedendo a questi bambini. Mi frulla in testa una domanda rivoltami da una volontaria qualche giorno fa: “Capiranno don quello che stanno facendo?”. Mentre ascolto la bella omelia di don Angelo, mi viene la risposta: “Non lo capisco neanch’io che sono prete quello che accade…”. In quel frammento di pane c’è tutto l’amore di un Dio che non ci ha dato qualcosa di sé, ma tutto se stesso. Mi trovo immerso in un mistero che non posso spiegare. Posso certamente fare riferimento alla teologia, che, guidata dall’amore per la Verità, prova a balbettare qualcosa dinanzi al mistero d’amore. Posso scomodare l’antropologia dell’atto del mangiare, le categorie impegnative quali la “transustanziazione”: giusto e importante farlo.

Ma il mistero dell’Amore che il Signore ci ha lasciato nel memoriale della sua Pasqua non è un teorema di matematica. Penso al fatto che ogni giorno ho tra le mani il corpo del Signore:  guardo i piccoli e sul loro volto di bambini scopro quella freschezza e quel desiderio che ho sempre bisogno di rigenerare anch’io. Mi sento nel contempo indegno di celebrare quel gesto d’amore e destinatario di un dono immenso, il mio ministero, che la Chiesa mi ha chiesto di far diventare dono per tutti.

Guardo i volti di chi tra i genitori soffre per le fratture createsi in famiglia o col coniuge. Una mamma commossa accompagnata dal figlio più grande guarda la sua bambina ricevere il Signore nel cuore per la prima volta: sa bene che il papà di quella bambina e degli altri suoi due figli, suo marito, dal Paradiso accompagna con gioia quel momento delicato e straordinario.

Ci sono bambini con disabilità: sono i nostri tesori più grandi. I loro occhi si spalancano e il loro “Amen” pronunciato ad alta voce, forse per dimostrarci che ricordano che si deve dire così, è il più bell’assenso al Signore che li ha donati alle loro famiglie. Alla fine mi convinco di una cosa… anche chi non crede può essere arricchito dalla Prima Comunione di questi piccoli.

“Comunione”. Un messaggio anche per chi non crede

Fa comunione chi è in pace, chi comunica e si comunica, chi dice di sé senza schiacciare l’altro, ma lasciandolo essere. Senza queste condizioni umane fondamentali non c’è comunione tra gli uomini, quindi neanche con Dio. E allora prego perché questo gesto così fondamentale per noi credenti sprigioni tutta la sua forza verso tutti. Che bello sarebbe se insegnasse a tutti a sorridere, a desiderare la comunione con l’altro, a non tenere musi lunghi, a dialogare, a non pretendere che l’altro sia come lo si vorrebbe o facesse secondo la nostra volontà. Che bello sarebbe se tutti ci salutassimo riconoscendoci fratelli anche se con idee, pareri, valutazioni diverse. Torno in camera mia la sera dopo le attività, prima di andare a Telgate per la cena alla festa della nostra polisportiva. In una scatola sulla scrivania custodisco gelosamente la croce della mia Prima Comunione. La apro. Vedo quei due semplici pezzi di legno incrociati portati al collo il 25 aprile di 26 anni fa. Mi viene in mente il sacerdote che mi diede il corpo di Gesù per la prima volta, a Redona. Si chiamava don Sergio Colombo e di quel pezzo di pane diceva qualcosa che forse oggi posso dire di aver capito un po’ di più: “Qui dentro c’è tutto”.