Nel Villaggio Solidale di Lurano “si vive con la porta aperta”. La coabitazione è risorsa preziosa

C’è un luogo, in provincia di Bergamo, dove la parola accoglienza ha ritrovato il suo significato: si tratta del Villaggio Solidale di Lurano, un paese di 3mila anime, immerso nel verde. Un posto “dove si curano le ferite”, ma dove allo stesso tempo si discute di prevenzione del disagio, nato grazie al Consorzio Famiglie e Accoglienza (Fa), che fa parte del gruppo cooperativo Cgm.

 

Villaggio Solidale: coabitazione, progetti d’impresa

Diciotto gli appartamenti che lo compongono: 5 destinati alle famiglie affidatarie, 13 a chi ne ha bisogno, più un appartamento di prossimità costituito nel corso del primo anno di vita per accogliere persone più fragili. “Da sempre, attraverso la nostra rete di cooperative, ci occupiamo di bambini e adolescenti, oltre che di madri con figli che attraversano situazioni di grave disagio” spiega Francesco Fossati, presidente del consorzio.

“Nel 2012, insieme a cinque famiglie di volontari, abbiamo pensato di dare vita ad un posto dove accogliere queste persone e aiutarle a reinserirsi nella società”. Qui vivono ragazzi disabili, giovani provenienti dalle comunità alloggio, mamme o papà  insieme ai propri figli che attraversano un momento di difficoltà. Queste persone vengono aiutate ad inserirsi nel mondo del lavoro, attraverso percorsi di formazione all’autonomia, attività educative, occupazionali e ricreative. Ma il Villaggio è anche un Incubatore Sociale: un progetto d’impresa sociale per l’avvio di nuove attività e la creazione di opportunità di impiego, a favore degli abitanti del Villaggio stesso e del territorio limitrofo.

 

“Si vive con la porta aperta”, un’esperienza totalizzante e profonda

Il Villaggio include inoltre diversi servizi, tra cui una Comunità Alloggio, un Pronto Intervento Minorile, il Servizio di Formazione all’Autonomia (SFA) per persone con disabilità, Tutoring per neo-maggiorenni provenienti dalle comunità alloggio, e una Rete di famiglie affidatarie, cuore pulsante del Villaggio stesso. Al suo interno ci sono laboratori, sale di stireria e lavanderia, una piccola ludoteca e il Centro Cottura. In quasi un anno di vita, 67 le persone finora accolte. “Si vive con la porta aperta” racconta Lucia, che assieme al marito Matteo è tra le famiglie affidatarie. Lucia e Matteo vengono dal mondo dell’affido: hanno accolto nella loro casa – e nella loro vita – diversi ragazzi. “Il Villaggio è un’esperienza che abbiamo sempre voluto fare – continua Lucia – e ci sta regalando emozioni e relazioni nuove. C’è una reciprocità che è molto bella. È come se in un certo senso stessimo continuando l’esperienza dell’affido, sotto un’altra forma. Per me il Villaggio Solidale è uno stimolo per dire che questa situazione è possibile ricrearla anche in un condominio normale. Non bisogna aver paura di lasciare la propria porta aperta, né di chiuderla se necessario, se c’è bisogno di fermarsi un attimo”.

Un’esperienza per certi versi totalizzante, ma che allo stesso tempo dà molto: “Le persone che ho incontrato e sto incontrando sono qualcosa di sorprendente. Se penso ai bambini, ai loro sguardi e alle storie che hanno dietro di sé, e al fatto che malgrado tutto riescono sempre a riscoprire la bellezza, o alle donne che ce la stanno mettendo tutta per stare con i propri figli, mi emoziono molto”. Lucia si commuove mentre racconta di uno degli ultimi bimbi accolti: “Un bambino di un anno e mezzo, che è stato con noi da gennaio fino a poco fa. È stato difficile lasciarlo andare, averlo qui dava una gioia incredibile. Lo abbiamo accompagnato in un percorso di affido. L’averlo in un certo senso condiviso con gli altri, condividendo anche la sua partenza, è un’esperienza che fa parte del percorso. Una cosa meravigliosa, che non so se avremmo potuto fare a casa nostra”.

 

Ci si scopre a vicenda, l’accoglienza è totale

Come Lucia, anche Nicoletta Corna, assieme al marito Maurizio Nisoli, ha deciso di partecipare a questo progetto che definisce “innovativo”. Quando, ormai sei anni fa, Fossati aveva parlato loro di quest’idea, non si sono tirati indietro: hanno partecipato alla progettazione dello stesso Villaggio. Anche la sua famiglia, che oltre al marito comprende due figli, ormai adulti, ha accolto due ragazzi affidatari, che ora han preso la loro strada. “È come se l’affido continuasse, ma senza l’esperienza del distacco dalla famiglia di origine – racconta -. Abbiamo pensato che l’aver vissuto l’esperienza di affido potesse essere utile agli altri. Inoltre sapevamo cosa volevamo, e abbiamo avuto la fortuna di essere aiutati in un percorso di consapevolezza di quello che potevamo fare qui. È come se i pensieri e le idee di questi anni avessero preso finalmente vita”.

Attualmente Nicoletta e il marito ospitano una ragazza di 20 anni con un bambino: “La co-abitazione rispetto alla comunità comporta un rapporto di tipo diverso: nella comunità ci sono regole da rispettare, qui il rapporto è più diretto, ci si scopre a vicenda, e come famiglie possiamo capire quali sono le difficoltà che queste persone stanno passando e cercare di aiutarle. Qui l’esperienza di accoglienza è totale: alcuni forse ci considerano dei pazzi, ma è una realtà molto bella, che consiglierei di vivere ad altre persone”.