Perché parti per andare in missione? Noemi in viaggio per la Guinea Bissau: “La vita è fatta per esplodere”

“La vita è fatta per esplodere, per andare più lontano. Se essa rimane costretta entro i suoi limiti non può fiorire, se la conserviamo solo per noi stessi la si soffoca. La vita è radiosa dal momento in cui si comincia a donarla.” Questa frase di Beato Clemente Vismara, ascoltata una manciata di minuti prima di scoprire la destinazione della mia missione, mi è rimasta appiccicata sul cuore: parole stupende che mi risuonano in questi trepidanti giorni d’attesa prima della mia partenza per Suzana, in Guinea Bissau. Sono una ricarica, una boccata d’aria fresca che mi permettono di restare concentrata sul senso vero del mio partire per un’esperienza di missione e di non venire risucchiata dagli ultimi preparativi per il viaggio, dai saluti agli amici, dal rispondere alle numerose domande che mi vengono rivolte quasi in continuazione da chi è incuriosito dalla mia scelta; su tutte, subito dopo “quali vaccinazioni hai fatto?’”, prevale una domanda, forse la più azzeccata: “perché parti per andare in missione?”

Già da tempo Cristian, il mio ragazzo, ed io custodivamo il desiderio di vivere un’esperienza di missione per comprendere meglio su quale terreno costruire la nostra casa, come vivere la nostra vita insieme e come indirizzare i nostri passi sulla strada tracciata già da Qualcuno. Il cammino di GM – Giovani e Missione è venuto in nostro soccorso. Ogni anno il PIME, Pontificio Istituto Missioni Estere, si rivolge ai giovani tra i 20 e i 30 anni che conservano nel cuore il desiderio di andare più lontano, di incontrare Dio in terra di missione e di testimoniare al mondo il Suo Amore. È un cammino che si svolge in due anni: il primo, appena concluso, è dedicato alla preparazione personale, ad una conoscenza interiore più approfondita e soprattutto a leggere con una chiave diversa il proprio rapporto con Dio; invece, dopo l’esperienza estiva di missione della durata di circa un mese, durante il secondo anno si prova a rielaborare quanto vissuto e soprattutto a riportare la missione nella propria quotidianità. È stato un anno davvero intenso, fatto di molte domande e forse ancora poche risposte, di discernimento e comprensione, di grandi gioie e anche piccole sofferenze. Ho provato a capire il mio desiderio e quello che invece Dio vuole per me, ho incontrato e abbracciato la mia umanità, a volte scomoda e ingombrante ma sempre bellissima, mi sono tuffata a capofitto nella notte oscura, nella piccola o grande crisi che segna la mia vita, per poi tornare in superficie come donna nuova, consapevole dell’Amore di Dio. Ma non ho affrontato tutto questo da sola: i miei compagni di cammino, altri cinquanta giovani che come me e Cristian avevano nel cuore mille domande, mi hanno accompagnato nel percorso e tutti  insieme ci siamo fidati. “Affidati” è stata la parola chiave che mi ha guidato durante GM e che ho ripetuto durante i momenti dove le domande mi soffocavano e le risposte tardavano a giungere. Affidati al Signore, alla sua volontà; affidati all’équipe formata da padri e suore missionari, da laici che hanno già sperimentato la missione, lasciati guidare e consigliare. Noi ragazzi di GM ci siamo fidati anche quella sera di Marzo durante la quale, con il cuore in gola, abbiamo scoperto i nostri compagni di missione. Bendati, immersi nel silenzio della sera, abbiamo aspettato che qualcuno ci sussurrasse all’orecchio “vieni, tocca a te” e ci guidasse verso la mano dei nostri compagni. Appena ho sfilato la benda dai miei occhi, ecco la sorpresa di vedere il volto di Cristian davanti a me: era tanta la speranza di essere destinati insieme, di vivere la missione fianco a fianco, di sentirla nostra. È stato davvero una gioia scoprire di essere diventati da quel momento anche compagni di missione e, ancora di più, di poter condividere quell’emozione con altri due compagni, Ciro e Chiara: guardandoci negli occhi, felici e pieni di riconoscenza, abbiamo capito che da quel momento ci saremmo dovuti prendere cura l’uno dell’altro. Ma la gioia non si è conclusa con quella serata straordinaria perché il giorno dopo, ancora più impazienti, abbiamo ricevuto la destinazione: Suzana, in Guinea Bissau. Quando hanno nominato quel fazzoletto di terra africana, un sorriso è esploso sui nostri volti. Cristian ed io ci siamo guardati, commossi, perché nei giorni precedenti alla destinazione avevamo fantasticato sul partire per l’Africa. Affidati e fidati, ancora una volta.

Dicono che nella missione di Suzana, a nord-ovest  della Guinea Bissau, al confine sud del Senegal, ci sia sempre qualcosa da fare. Dal 1952, i padri missionari che hanno dato vita alla missione non hanno mai smesso di camminare con la gente, di avviare un percorso di promozione umana, cercando di migliorare la qualità della vita attraverso un esercizio di responsabilizzazione delle persone, insegnando loro un lavoro e mostrando loro una vita diversa, quella del Vangelo. Anche le mani operose di padre Zè Fumagalli, da cinquant’anni al lavoro tra il popolo Felup, sembrano non arrestarsi mai davanti all’avanzare del tempo. Incontrato in terra italiana, il tenace e infaticabile padre missionario ha già trovato come investire il tempo del quartetto di giovani missionari quasi in partenza, affidandoci alcune semplici mansioni: insegnare ad alcune persone della comunità come fare il pane, sfruttando le abilità da panettiere di Cristian, e creare un piccolo centro estivo per i bambini della missione. Eppure, quando penso all’avventura che sto per intraprendere fra pochi giorni, non penso tanto a cosa farò oppure a come, se mai sarà possibile, potrò essere utile al popolo guineano, quanto piuttosto a come vivrò la missione stessa. Dopo aver ricevuto la destinazione, negli ultimi mesi ho cercato di abbassare le mie aspettative e di frenare la mia immaginazione. Faccio risuonare dentro di me quella parola preziosa e impegnativa, affidati. Il mio desiderio grande per questa esperienza è che tutto quello che accadrà in missione mi pervada: le persone che il Signore vorrà farmi incontrare, le esperienze che inciamperanno sui miei passi, le situazioni che vedranno i miei occhi, le emozioni che faranno rimbalzare il mio cuore. So che non sarà facile, alcuni dubbi hanno già iniziato a sorgere in me, come per esempio la capacità di entrare in relazione con persone che parlano una lingua per me sconosciuta, il Felup, e che hanno tradizioni e culture diverse, ma anche se sopravvivrò ad un clima diverso da quello a cui sono abituata, se riuscirò a lasciare cadere alcune mie paure e timori che potrebbero impedirmi di aprirmi completamente alla missione. Per non scoraggiarmi prima del tempo, mi ripeto una frase pronunciata da un ragazzo che prima di me ha camminato sulla terra della Guinea Bissau: “Non si parte per la Guinea per fare, nemmeno per vedere: in Guinea bisogna solo starci”. Così, è proprio questo che mi auguro: di starci davvero, di vivere appieno la missione e di condividerla con i miei compagni di viaggio, con Chiara e Ciro e soprattutto con Cristian, di prendermi cura di loro nei momenti di difficoltà che probabilmente ci metteranno alla prova e di prendermi cura, nel mio piccolo e nelle mie capacità, di quella terra che mi è stata affidata. Di fidarmi completamente del Signore e di donare, senza paura, ogni parte di me.