Il nostro perché della lettera a Mattarella. Il mondo ci sta a cuore

Ho letto con interesse la lettera che voi e molte altre comunità monastiche avete scritto a Mattarella e a Conte. In un certo senso avete preso una posizione in qualche modo politica. Quali potrebbero essere gli ambiti di altri eventuali vostri interventi? Gigi

Caro Gigi, in questo momento non so rispondere con precisione alla tua domanda, anche perché dovrei sentire le sorelle degli altri monasteri con le quali è maturata, in maniera semplice e condivisa, la lettera a cui tu fai riferimento.

Posso dire che non è una posizione in qualche modo politica, né si tratta di cercare altri ambiti, ma di favorire processi di crescita e di umanizzazione e, per chi è credente, di crescere in una testimonianza di vita evangelica che abbracci tutta l’esistenza.

Il Vangelo, unica forma di vita

Accenno ad alcune riflessioni che mi paiono importanti e motivano una parola pubblica come cittadine e soprattutto come donne credenti, come sorelle che fanno della loro vita di preghiera e di intercessione per il mondo, la loro vocazione. Una vocazione che attinge al Vangelo e che vuole fare del Vangelo l’unica Forma di vita, pur con le fragilità e debolezze che sono chiare ai nostri occhi e a quelli delle nostre sorelle. Ma non per questo desistiamo: amiamo troppo la nostra terra e il mondo che Dio ci ha affidato e desideriamo riconsegnarlo a lui come quel giardino che ci ha donato nella creazione!

Chi cerca di fare della preghiera la propria vita, non può rimanere con gli occhi chiusi sul mondo perché sarebbe un’esistenza sterile e ripiegata; non può che rimanere sulla soglia a guardare e intercedere presso Dio, perché il fluire della storia sia innestato nel suo flusso di amore e di vita.

Il dilagare di sentimenti di intolleranza ci inquieta

La preoccupazione per il dilagare di sentimenti di intolleranza, rifiuto, violenza ci inquieta, perché sono solo la punta emergente di un disagio sociale molto evidente e di un impoverimento “in umanità” in cui non si vedono vie di intervento possibili. Assistiamo ad un affievolirsi dei valori di accoglienza, di rispetto, di solidarietà di fronte alla sfida delle differenze, a un proliferare della violenza verbale e fisica, non solo nella società, ma anche nelle famiglie e in coloro che dovrebbero essere modelli istituzionali, scelti per il servizio del bene comune.

I mezzi di comunicazione, internet e non solo, che hanno certamente prodotto una velocizzazione della comunicazione e hanno tanti aspetti di positività, certamente non fanno solo un buon servizio di formazione e di alta cultura, ma, purtroppo, enfatizzano alcuni aspetti che generano paura e smarrimento e confermano diffidenza e sospetto.

Spesso il Vangelo è dimenticato

Non solo: in un paese come l’Italia che si dichiara cristiano cattolico, anche se ormai è chiara la separazione tra una fede professata, almeno sui registri battesimali, e una fede agita, si rischia di confondere forme di religiosità, devozioni,  (pur necessarie) con l’autentico spirito del Vangelo.

Alcuni atteggiamenti, scelte, modi di giudicare la vita, non si ispirano agli insegnamenti di Gesù: Egli è il “povero” per eccellenza, che si è spogliato del suo essere Dio per farsi uomo e per riportare la nostra natura decaduta alla dignità di figli di Dio. Nella sua vita terrena non ha nascosto la sua predilezione per i deboli e i poveri, fossero anche ricchi di beni, tutti bisognosi di misericordia e di salvezza. Il Vangelo è molto chiaro, esigente, e non fa sconti a nessuno; non possiamo continuare ad annacquarlo portandolo alla nostra misura e cercando continui compromessi. Possiamo dire che è impegnativo viverlo, che ne sperimentiamo un po’ tutti la distanza, ma non possiamo interpretarlo e utilizzarlo secondo i nostri interessi usando anche i simboli religiosi per confondere i semplici e perseguire obiettivi che non hanno nulla di evangelico. Dobbiamo essere più onesti e veri!

Spesso la sofferenza non è rispettata

La sofferenza delle persone merita rispetto, perché i drammi lacerano l’umanità e dovrebbero inquietare le nostre coscienze addormentate e abituate a tutto e al contrario di tutto. Non possiamo chiudere gli occhi e far svanire una cultura dell’accoglienza e della solidarietà che i valori cristiani hanno disseminato nella nostra società, ma possiamo e dobbiamo seminare quello spirito evangelico che genera un nuovo umanesimo e combatte ogni individualismo e populismo.

L’esperienza cristiana è quella di una fraternità, sempre da ritrovare e costruire, del popolo santo di Dio che cammina per le strade del mondo tenendo per le mani i suoi fratelli, soprattutto i più poveri e sofferenti, quelli che la società dello scarto mette ai margini.

Non siamo fuori dal tempo

Non siamo ingenue e fuori dal tempo, siamo consapevoli della complessità di questa nostra epoca, ma non vogliamo che prevalga la logica del “più forte” e dei muri che dividono. La nostra vita di sorelle testimonia che la fraternità è bella ma anche impegnativa, che richiede conversione e tenacia, ma è possibile e realizzabile. Solo la paziente arte del dialogo, della riconciliazione, della resilienza al bene, dell’accoglienza reciprocae del servizio, della condivisione dei beni e delle risorse, può costruire una vita più umana e vivibile, dove le differenze si congiungono in una unità superiore e tutti ci prendiamo per mano per cercare e costruire la città degli uomini, quel Regno di Dio che è già presente e prossimo.

È utopico pensare e cercare di realizzare la nostra vocazione alla fraternità? Se fosse così rischieremmo di affermare la falsità del Vangelo, e credo che questo non sia possibile! Dobbiamo vigilare e ricordarci reciprocamente che alla fine dei tempi, non saremo giudicati sulle nostre grandi imprese, ma solo sull’amore che avremo vissuto, sulla carità che avrà intessuto le nostre relazioni e avrà costruito sentieri di pace. Ringraziamo tutte quelle donne e quegli uomini che nel nome del Vangelo o della nostra “vocazione all’umanità”, si prodigano per cercare il bene, seminano accoglienza e ospitalità. Portiamo a conoscenza il bene vissuto perché sia voce che prevale e sconfigge ogni vento contrario di male e faccia intravvedere i germogli di vita che stanno crescendo e che Dio benedice come cosa molto buona.