L’Italia e la campagna elettorale permanente: manca il senso dell’orizzonte

Sembra incredibile, ma la politica italiana ruota ancora intorno al tema delle elezioni. Che siano dietro l’angolo, in autunno, o tra qualche mese, in primavera, l’argomento tiene banco nel dibattito pubblico ed è il retropensiero che condiziona in modo decisivo le mosse dei partiti, soprattutto di quelli della maggioranza, se non altro perché molto (anche se non tutto) dipende dalle loro scelte. Dai mesi che hanno preceduto il voto politico del 4 marzo 2018, il Paese è attraversato da una campagna elettorale permanente, tra appuntamenti prefissati (le recenti europee, varie tornate regionali e amministrative) e il fantasma delle elezioni politiche anticipate che accompagna la legislatura sin dal suo inizio, quando sembrava che M5S e Lega non riuscissero a trovare un accordo per formare il governo. Se si vanno a rileggere le cronache del maggio dello scorso anno, si rimane basiti nel verificare che anche allora si parlava della “finestra elettorale”, cioè della complessa tempistica per tornare alle urne e dare vita a un nuovo governo nei termini necessari al varo della legge di bilancio, senza di cui il Paese andrebbe a rotoli. E il braccio di ferro in corso allora tra M5S e Lega è poi diventato il paradigma di tutto questo primo scorcio di legislatura. Anche se a parti invertite rispetto al peso elettorale dei due partiti (in Parlamento, peraltro, il M5S ha ancora una rappresentanza doppia rispetto alla Lega), siamo ancora lì, con le due forze politiche che si minacciano e si insultano ma occupano tutta la scena, svolgendo a seconda dei casi sia il ruolo della maggioranza che quello dell’opposizione. Uno schema reso possibile – va ricordato – dall’assenza di una proposta alternativa credibile e da cui dipende in misura non irrilevante il consenso maggioritario che l’esecutivo continua a riscuotere nel Paese, almeno stando ai più autorevoli sondaggi.
Questo consenso è una condizione rara nelle democrazie, dopo oltre un anno di governo, e potrebbe essere utilizzato per impostare finalmente quelle politiche di ampio respiro che sarebbero necessarie per far ripartire il Paese, al di là degli slogan elettorali. Tanto più che l’aver evitato la procedura d’infrazione europea, per merito degli esponenti più ragionevoli dell’esecutivo, premier in testa, ha consentito all’Italia una fase di relativa tregua finanziaria sui mercati internazionali. Ma sembra che non ci sia niente da fare, il peccato originale che il governo si porta dietro dalla sua nascita continua a far sentire la sua nefasta influenza e il livello dello scontro tra le due forze di maggioranza supera sistematicamente tutti i limiti che di volta in volta sembrerebbero ultimativi.
Il problema è che, tra un decreto sicurezza e l’altro, il Paese viene invece tenuto in uno stato di continua incertezza. Finora ha retto tutto sommato bene, perché a livello economico i suoi “fondamentali” sono sostanzialmente solidi. Ma fino a quando potrà durare questa situazione? Ci sono questioni, basterebbe pensare al declino demografico, che richiedono di essere affrontate con urgenza e in modo adeguato alla loro portata, non rinviate al prossimo appuntamento elettorale.