Preti e soldi. Un rapporto possibile

Riascolto con piacere il video nel quale l’imprenditore e pedagogista bergamasco Johnny Dotti, intervenuto a una trasmissione televisiva, parla sul tema dell’ “emanciparsi dall’economia”. Egli, con saggezza, ricorda che è importante conoscere a fondo l’economia, ma bisogna evitare di cadere nel tragico errore di far coincidere tutto con l’economia: con un esempio che non richiede alcuna spiegazione, Johnny spiega che se il suo amore per sua figlia divenisse economia diverrebbe sterile.

“Quel parroco lì parla sempre di soldi”

Questa illuminante riflessione mi consente di fermarmi qualche istante su un tema che mi sta a cuore perché, lo confesso, mi spaventa un po’. Mi capita di sentire persone che dicono: “ma quel parroco lì parla sempre e solo di soldi?”, così come mi capita, per ministero, di avere a che fare con la gestione dei soldi.

Ora, la questione c’è ed è seria, soprattutto per i parroci. Sarò molto esplicito, come sempre, nel dire il mio pensiero. Se un sacerdote passa molto tempo, magari tutta la mattinata, più volte alla settimana, a spulciare fatture, a scervellarsi sul senso di alcune formule legislative su tema economico, a guardare i movimenti dei conti correnti parrocchiali, qualcosa non va. Non va proprio.

Questo per diversi motivi. Guardo a me: in primis, spesso già fatico a stare dentro i tempi di un’agenda che, tra due oratori, scuola, colloqui personali e riunioni di equipe, è fittissima. In secondo luogo, di economia so poco o nulla (e, sono sincero, non avendo passione in tema, non ne voglio nemmeno sapere molto!). In terzo luogo, non mi va di spendere il mio tempo a studiare le continue variazioni legislative e a far di conto, altrimenti avrei fatto altro nella vita.

Ma il prete non deve spendere il suo tempo per attività economiche

Certo, sono consapevole che la gestione delle nostre strutture, chiese, oratori, case, campi da calcio ecc. comportano un ruolo centrale del livello economico, così come della continua ricerca di fondi e offerte. Però mi chiedo: può buona parte del ministero di un parroco essere spesa in questo?

Mi si potrebbe rimproverare di sollevare un problema senza proporre qualche soluzione migliorativa. E allora ci provo. Io credo che ci siano due possibilità sulle quali insistere molto. In primis, ogni parrocchia deve avere un Consiglio per gli affari economici efficiente (peraltro, questo consiglio è obbligatorio per diritto, come in Diocesi di Bergamo lo è il Consiglio Pastorale Parrocchiale, per decreto sinodale), dove vi siano persone che conoscano l’economia e, nel contempo, siano in grado di dare applicazione pastorale alle loro competenze. Lì si gioca molto, perché il parroco, sulla base della sua guida pastorale, che insegnerà a gestire i beni in modo evangelico, troverà persone competenti che sapranno collaborare con lui permettendo di attuare questo stile ecclesiale.

Quindi, l’economia è concretamente gestita da chi è capace di farlo: il parroco detta le linee ed è costantemente informato sui passaggi da fare e sulle decisioni da prendere.

Ipotesi: le economie delle parrocchie gestite dalle CET

Mi permetto però di azzardare un’ulteriore possibilità per la nostra diocesi. Se, alla luce della creazione delle Comunità Ecclesiali Territoriali (CET), ciascuna di queste si dotasse di un paio di persone, magari due giovani commercialisti dei nostri territori, che, in stretto contatto con i parroci, gestiscano le questioni economiche delle parrocchie? Lascio ai tecnici di pensare la fattibilità di questa opzione.

Io mi permetto solo di dire che una maggiore corresponsabilità (non delega totale!) anche in questo con i nostri laici gioverebbe alla Chiesa tutta, perché i commercialisti farebbero il loro mestiere e ai preti resterebbe più tempo per prendersi cura della fede della loro gente.