Papa Francesco: la Chiesa deve creare ponti di amicizia e di solidarietà invece di barriere

“Gesù sempre tende la mano, cerca sempre di sollevare, di fare che la gente guarisca, sia felice, che incontri Dio”. Lo ha affermato, stamattina, Papa Francesco, parlando a braccio, durante la prima udienza generale di agosto. “Si tratta dell’‘arte dell’accompagnamento’ che si caratterizza per la delicatezza con cui ci si accosta alla ‘terra sacra dell’altro’, dando al cammino ‘il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana’”. E, ha evidenziato ancora a braccio, “questo fanno i due apostoli con lo storpio, lo guardano, dicono: ‘guardaci’, tendono la mano, lo fanno alzare e lo guariscono. Così Gesù fa con tutti noi, pensiamo questo, quando siamo in momenti brutti, in momenti di peccato, in momenti di tristezza, c’è Gesù che dice ‘guardami, Io sono qui’, prendiamo la mano di Gesù e lasciamoci alzare”.
Pietro e Giovanni, ha aggiunto il Pontefice, “ci insegnano a non confidare nei mezzi, che pure sono utili, ma nella vera ricchezza che è la relazione con il Risorto. Siamo infatti – come direbbe san Paolo – ‘poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla e invece possediamo tutto’. Il nostro tutto è il Vangelo, che manifesta la potenza del nome di Gesù che compie prodigi”.
E, si è domandato il Santo Padre, “noi, ognuno di noi, che cosa possediamo noi? Qual è la nostra ricchezza, il nostro tesoro? Con che cosa possiamo rendere ricchi gli altri? Chiediamo al Padre il dono di una memoria grata nel ricordare i benefici del suo amore nella nostra vita, per dare a tutti la testimonianza della lode e della riconoscenza”. Poi, la conclusione, sempre a braccio: “Non dimentichiamo: la mano tesa sempre per aiutare l’altro ad alzarsi, è la mano di Gesù, che tramite la nostra mano aiuta ad alzarsi gli altri”.

“Dio ama manifestarsi nella relazione, nel dialogo, con l’ispirazione del cuore”

“Negli Atti degli Apostoli la predicazione del Vangelo non si affida solo alle parole, ma anche ad azioni concrete che testimoniano la verità dell’annuncio. Si tratta di ‘prodigi e segni’ che avvengono per opera degli Apostoli, confermando la loro parola e dimostrando che essi agiscono nel nome di Cristo. Accade così che gli Apostoli intercedono e Cristo opera, agendo ‘insieme con loro’ e confermando la Parola con i segni che l’accompagnano”- Lo ha ricordato, stamattina, Papa Francesco, nella prima udienza generale di agosto, in Aula Paolo VI. Con questa udienza il Pontefice riprende  il ciclo di catechesi sugli Atti degli Apostoli. “Tanti segni, tanti miracoli che hanno fatto gli Apostoli sono una manifestazione della divinità di Gesù”, ha sottolineato a braccio il Santo Padre. “Ci troviamo oggi dinanzi a una guarigione, a un miracolo, al primo racconto di guarigione del Libro degli Atti. Esso ha una chiara finalità missionaria, che punta a suscitare la fede”, ha proseguito Francesco: “Pietro e Giovanni vanno a pregare al Tempio, centro dell’esperienza di fede d’Israele, a cui i primi cristiani sono ancora fortemente legati. I primi cristiani pregavano nel Tempio di Gerusalemme. Luca registra l’ora: è l’ora nona, cioè le tre del pomeriggio, quando il sacrificio veniva offerto in olocausto come segno della comunione del popolo col suo Dio; e anche l’ora in cui Cristo è morto offrendo sé stesso ‘una volta per sempre’. E alla porta del Tempio detta ‘Bella’ vedono un mendicante, un uomo paralitico fin dalla nascita”. Ma, si è chiesto il Papa, “perché era alla porta quell’uomo? La Legge mosaica impediva di offrire sacrifici a chi avesse menomazioni fisiche, ritenute conseguenza di qualche colpa. Ricordiamo che per un cieco alla nascita il popolo domanda a Gesù: ‘Questo è cieco per i suoi peccati o dei suoi parenti, genitori?’ C’è sempre una colpa dietro a una malformazione in quella mentalità. E in seguito era stato negato loro persino l’accesso al Tempio”. Così, “lo storpio, paradigma dei tanti esclusi e scartati della società, è lì a chiedere l’elemosina come ogni giorno, alla porta”. Ma “accade qualcosa di imprevisto: arrivano Pietro e Giovanni e s’innesca un gioco di sguardi. Lo storpio guarda i due per chiedere l’elemosina, gli apostoli invece lo fissano, invitandolo a guardare verso di loro in un modo diverso, per ricevere un altro dono. Lo storpio li guarda e Pietro gli dice: ‘Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!’”. Dunque, “gli apostoli hanno stabilito una relazione, perché questo è il modo in cui Dio ama manifestarsi, nella relazione, sempre nel dialogo, sempre nelle apparizioni, sempre con l’ispirazione del cuore, sono le relazioni di Dio con noi, attraverso un incontro reale tra le persone che può accadere solo nell’amore”.

Creare ponti di amicizia e di solidarietà al posto di barriere

“Il Tempio, oltre ad essere il centro religioso, era anche un luogo di scambi economici e finanziari: contro questa riduzione si erano scagliati più volte i profeti e anche Gesù stesso. Ma quante volte penso a questo quando vedo qualche parrocchia che pensa che sono più importanti i soldi che i sacramenti. Per favore: Chiesa povera, chiediamo al Signore quello”. Lo ha detto con forza, stamattina, Papa Francesco, durante l’udienza generale in Aula Paolo VI. “Quel mendicante, incontrando gli Apostoli, non trova denaro ma il Nome che salva l’uomo: Gesù Cristo il Nazareno. Pietro invoca il nome di Gesù, ordina al paralitico di mettersi in piedi, nella posizione dei viventi, in piedi, e tocca questo malato, cioè lo prende per mano e lo solleva, gesto in cui San Giovanni Crisostomo vede ‘un’immagine della risurrezione’”, ha ricordato il Papa, che ha sottolineato: “E qui appare il ritratto della Chiesa, che vede chi è in difficoltà, non chiude gli occhi, sa guardare l’umanità in faccia per creare relazioni significative, ponti di amicizia e di solidarietà al posto di barriere. Appare il volto di ‘una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti’, che sa prendere per mano e accompagnare per sollevare, non per condannare”.