Celadina, oltre ottanta parrocchiani in visita nel carcere di Bergamo

Per le detenute è stato un incontro intenso, perché hanno capito che oltre quelle mura qualcuno pensa a loro. Per la parrocchia di Celadina è stato un incontro coinvolgente, che ha permesso di conoscere da vicino la realtà del carcere. Un incontro — come ha sottolineato il parroco don Davide Galbiati — che spinge «a superare la pigrizia intellettuale di chi dice: “Hanno sbagliato, devono pagare”». Una giornata davvero particolare quella vissuta dalla parrocchia, nel pomeriggio del 5 settembre, nell’ambito delle feste patronali, quando oltre 80 persone hanno varcato le porte del carcere per conoscere da vicino una realtà nascosta, anche se vicina alle proprie case. Prima tappa la visita alla lavanderia, dove si alternano ogni mese le 40 detenute. «Lavano e stirano, ricevendo un compenso per il loro lavoro — ha sottolineato Anna Maioli, capo area trattamentale, che ha fatto da cicerone —. Grazie a quanto ricevono per i vari lavori, detenute e detenuti si sentono responsabili e impegnati. Inoltre possono comprare quanto serve per la pulizia personale, come sapone, dentifricio, shampoo, il giornale, le sigarette e andare dal barbiere. Tutte cose che non sono pagate dall’amministrazione carceraria». Maioli ha ringraziato la parrocchia perché, nelle feste natalizie, raccoglie materiale per la pulizia personale. Quindi ha mostrato i lavori delle detenute nella scuola di ceramica, seguite da una ceramista, che periodicamente vengono messi in vendita. Ci sono poi altri lavori per i detenuti maschi. Un gruppo dei 500 presenti nella struttura, aiuta un cuoco, che ogni giorno prepara 350 coperti, dalla colazione alla cena. C’è poi un forno che sforna pane, consegnato anche a domicilio, panettoni e colombe. In ogni cella si può tenere un fornello, sempre pagato dai detenuti, per consentire di bere un caffè o un tè.

I volontari sono una presenza indispensabili, perché aiutano detenuti e detenute a trascorrere la giornata e ascoltano i racconti delle loro vite. Per consentire un futuro a chi termina di scontare la pena, per non far perdere gli anni scolastici, o anche solo per riflettere e formarsi, sono attivi corsi di scuola elementare, media e istituto alberghiero. Quattro detenuti proseguono gli studi universitari e i docenti vengono in carcere per gli esami. Sono attivi anche corsi di italiano per i detenuti stranieri. Ogni giorno sono 120 i detenuti che studiano. «Sensibilizziamo alla frequenza regolare. Ci sono anche persone che neppure sanno la loro data di nascita», ha aggiunto Maioli.

Il gruppo si è quindi spostato nella sala teatro, dove c’erano le detenute, alcune molto giovani, e la nuova direttrice del carcere, Teresa Mazzotta, che ha indicato come priorità del suo impegno il reinserimento e l’accompagnamento dei detenuti al termine della pena. «Il carcere non è quello che appare nei film e neppure un luogo dove si danno giudizi sommari sulle persone. Ogni detenuto porta con sé problemi, speranze, rimpianti, ricordi. È molto triste vedere i loro figli piccoli piangere quando termina il tempo di ricevimento». La direttrice ha invitato a fare gli auguri di buon compleanno a suor Valentina, una religiosa delle Poverelle, impegnata in carcere, che compiva 80 anni. «Grazie — ha risposto la religiosa, visibilmente emozionata —. Busso ovunque per cercare fondi per i bisogni dei detenuti e mi sento chiamare “frà Sircòtt“. Ricevo anche insulti, ma rispondo che i carcerati sono dei cittadini». Quindi il saluto di Daniela, una detenuta. «Siamo donne di etnia, religione e lingue diverse. Siamo qui per degli errori commessi e non è facile fare i conti con il passato. Pesa la lontananza da casa e dagli affetti». Vanni ha risposto a nome della parrocchia: «Abbiamo sempre visto il carcere dal di fuori, ora l’abbiamo visto dal di dentro. Grazie per la vostra testimonianza».

Dopo alcuni momenti di preghiera e canti, eseguiti dal Coro parrocchiale Shalom, ha preso la parola il parroco. «Abbiamo sentito narrare storie di vita di persone che riconoscono di aver sbagliato. Sono voci che ci hanno fatto conoscere il carcere vero, non quello dei luoghi comuni. Abbiamo imparato a non dare giudizi duri e affrettati. Un detenuto è una persona che ha sbagliato, non un ladro a vita».