Verso il Sinodo per l’Amazzonia. Antonio Brunori: “Polmone della Terra e specchio dell’umanità”

In Vaticano dal  6 al 27 ottobre 2019 avrà luogo un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per la regione Panamazzonica (composta da nove Paesi: Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Perù, Venezuela, Suriname, Guyana e Guyana francese) .

Il Sinodo denominato “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale” è voluto da Papa Francesco per stimolare l’attenzione del pianeta sui temi ecologici, economico-culturali e umani di questa regione, che è lo specchio di tutta l’umanità. La più grande zona forestale del mondo è ora sottoposta a gravi problemi di degradazione e frammentazione a causa degli incendi che stanno devastando vaste zone della foresta amazzonica.

Con Antonio Brunori, giornalista, dottore forestale e Segretario Generale in Italia del PEFC, la più grande organizzazione al mondo di certificazione forestale, parliamo della grave situazione degli incendi in Amazzonia e dell’importanza del Sinodo.

L’Amazzonia continua a bruciare. Non si fermano gli incendi nella foresta pluviale più grande del mondo, ormai una vera e propria emergenza internazionale. Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, dopo gli appelli di personalità dello spettacolo e della politica mondiale, ha inviato l’esercito a domare le fiamme. La causa dei continui roghi è la deforestazione illegale,
quali sono i maggiori rischi per le tribù locali?

«Quando parliamo di bacino dell’Amazzonia parliamo di un’area che interessa nove Paesi del Sudamerica, il problema degli incendi riguarda anche la Bolivia. Il problema dei roghi non è esclusivamente legato alla deforestazione illegale in quanto tale ma a un fenomeno più complesso che interessa la coltivazione di sussistenza, cioè quella che fanno le famiglie per allargare il proprio campo agricolo, ma che trova soprattutto in questi ultimi anni una sponda nella scelta dei Paesi del Sudamerica di incentivare l’agricoltura intensiva, che ha bisogno di terra. La causa principale dei fuochi e della successiva perdita della foresta in tutto il bacino amazzonico è la zootecnia dell’allevamento di carni e pelli, l’agricoltura intensiva per soia, canna da zucchero e altri prodotti primari. Poi aggiungiamoci il taglio delle specie pregiate, ma questo rappresenta solo il 5/6%».

È vero che lo scrigno di biodiversità del polmone della Terra è fondamentale per la nostra sopravvivenza e gli incendi che stanno colpendo dall’agosto scorso la foresta amazzonica rischiano di far estinguere completamente molte specie viventi, animali e vegetali?

«È vero, perché quello che sta accadendo è un fenomeno di degradazione ecologica che trasforma ecosistemi ricchi di biodiversità come la foresta pluviale in ecosistemi più poveri di vita e quindi assistiamo a una perdita di variabilità biologica. Gli incendi modificano non solo il numero e il tipo di specie presenti in un certo luogo ma modificano le condizioni climatiche di quello stesso luogo. L’Amazzonia utilizza l’80% dell’acqua creandola essa stessa. Parliamo di fiumi di vapor d’acqua aerei che nascono e derivano dalla traspirazione delle foreste. Venendo meno molti ettari di superficie forestale si interrompe la creazione di questo “motore climatico” e quindi molta vegetazione viene a soffrire perdendo quell’”equilibrio climatico”, come si definisce in ecologia, tipico di quelle formazioni vegetali. Il 25% di tutte le specie medicinali presenti nel mondo stanno lì nel bacino amazzonico. Perdendo questa biodiversità perdiamo anche delle possibilità di vivere e di curarci, noi uomini e donne del Pianeta».

Gli incendi dell’estate appena trascorsa non hanno riguardato solo l’Amazzonia ma anche la Siberia, l’Africa e il Sud Est Asiatico. Che cosa unisce questi fenomeni?

«L’innalzamento della temperatura a livello globale incrementa la vulnerabilità della foresta agli incendi sia in aree ricche di umidità come in Amazzonia o a basse temperature come in Siberia. Questo è un indice molto grave di una instabilità climatica, che danneggia in prima battuta la vegetazione ma successivamente l’uomo avrà dei danni, perché se la natura sta male l’uomo immediatamente dopo ha delle conseguenze negative».

Come avere più rispetto per la “Casa comune”, come chiama la Terra Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato sì”?

«Dobbiamo necessariamente avere più rispetto per il Creato. Rispettare vuol dire conoscere e amare, quindi avere rispetto e conoscenza vuol dire non sprecare, non avere uno stile di vita che distrugge le risorse. Noi non solo danneggiamo noi stessi ma anche le creature che sono ospitate dalla Terra. Siamo una “casa comune”, noi che rappresentiamo solo lo 0,03% in peso del Pianeta stiamo distruggendo, in maniera irrispettosa, gli equilibri che da milioni di anni erano presenti sulla Terra».

L’obiettivo principale del Sinodo è “trovare nuove vie per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, in particolare le persone indigene, spesso dimenticate e senza la prospettiva di un futuro sereno, anche a causa della crisi della foresta amazzonica, polmone di fondamentale importanza per il nostro pianeta”. Quanto è importante in questo momento particolare l’assemblea sinodale di ottobre?

«È strategico che Papa Francesco, già nel 2017 abbia pensato a un Sinodo come questo. Le più danneggiate sono le popolazioni indigene, quelle che hanno un contatto più diretto con la natura e quindi sono già rispettose della “casa comune”, ma hanno molti meno strumenti della vita moderna. Proprio perché il problema del cambiamento climatico e dell’economia globale va a danneggiare i più deboli e i più poveri, le tribù dell’Amazzonia sono quella parte di popolazione che meno può difendersi dall’economia globale e dai danni che fa. Sollevare l’attenzione della loro condizione è indispensabile per cercare di tutelare la loro vita e rispettare le loro tradizioni. Sono i più indifesi in questo momento, non hanno armi moderne per difendersi dall’aggressione di gente che pensa solo ai soldi e non ha rispetto per la vita e per la cultura delle persone».