Gli Italiani vogliono un futuro?

  1. L’interrogativo non è affatto retorico. Se guardiamo i fatti e non i proclami, se guardiamo la società e non la politica, la risposta è no! La politica, è noto, fa ampio uso dell’arma propagandistica dell’annuncio del futuro. Ciascun leader politico si propone generosamente come novella Marianne di Delacroix, ma la società italiana strascica i piedi. A quel punto, anche la politica democratica ripiega sul presente, volge lo sguardo dietro di sé, pur essendo stata delegata a tenere le mani sull’aratro. D’altronde, le avanguardie rivoluzionarie, che si sono poste davanti a tutti per sentire meglio il rintocco delle ore della storia, non hanno dato buona prova. Ma ci deve pur essere un punto di equilibrio tra la politica che ordina “seguitemi!” e la politica che sussurra “vi seguo!”.

La società italiana di oggi non guarda avanti. Il crollo demografico e il debito pubblico

Intanto, per calibrare il punto di equilibrio e muovere realisticamente verso il futuro, occorre prendere atto della direzione verso cui la società si muove. Sì, la società italiana dei nostri anni, diversamente da quella degli anni ’60, non guarda volentieri avanti, non si appassiona al futuro, non ci investe, non intende versare neppure una goccia del presente per innaffiare la pianticella del futuro. Sono almeno due i terreni di controprova, sui quali il fiore della speranza del futuro è già seccato: l’inverno demografico e il debito pubblico.

Del primo si parla, ogni anno, in occasione della presentazione del Rapporto Istat. Ma subito il discorso scompare dal dibattito pubblico. Il Presidente dell’ISTAT, Giancarlo Blangiardo, ha paragonato il nostro crollo demografico a quello registrato dalla popolazione nel 1917-1918, gli anni della Grande guerra e della febbre spagnola. L’Italia ha oggi un tasso di fecondità di 1,32 figli per donna. E’ una questione europea, giacché tutti i Paesi, a partire dalla Francia, sono scesi sotto i 2 figli per donna. La Spagna sta a 1,25 per donna. Ma la situazione in Italia è più grave, perché noi abbiamo incominciato prima: già dal 1993, si è invertito il saldo tra nati e morti e lo squilibrio si è aggravato dal 2008. Dal 2015 la popolazione residente è in diminuzione, configurando per la prima volta negli ultimi 90 anni una fase di declino demografico. Al 31 dicembre 2018 la popolazione ammonta a 60.359.546 residenti, oltre 124 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,2%) e oltre 400 mila in meno rispetto a quattro anni prima. I 5.255.503 cittadini stranieri iscritti in anagrafe, che arrivano a costituire l’8,7% del totale della popolazione residente, non bastano a compensare il calo, lo hanno solo contenuto. Lo scenario è quello di pochi reparti di maternità e di molte “ville serene”.

Alla base del nostro declino demografico sta un intreccio di molte cause, economico-sociali e spirituali. La prima, immediatamente demografica, è che meno donne nascono e meno figli generano. E’ una spirale fatale. Ma, soprattutto, lo choc del 2008 ha rafforzato le incertezze delle giovani generazioni rispetto al proprio futuro. Più a fondo, la combinazione di globalizzazione e crescita della potenza individuale ha progressivamente disperso tra le giovani generazioni il senso della cittadinanza per sostituirlo con una proiezione individualistica di sé nell’avventura del mondo. La perdita della coscienza di cittadinanza porta fatalmente alla perdita della patria. Più a fondo ancora sta la perdita di Dio, cioè della concezione della finitezza umana, dell’idea che non siamo padroni del mondo, dell’idea che dipendiamo da Altro, quale che sia il contenuto che vi si annetta, dell’idea che l’avventura umana non si affronta da soli, che non è faccenda solo nostra, che esiste “un prossimo” di cui farci carico e che si fa carico di noi. Detto in altro modo, all’orizzonte si vedono solo diritti, non i doveri, perché nessuno crede di dover nulla a nessuno. Il prossimo semmai si trasforma in “tribù” e in corporazione. Se in nome del trinomio Dio-Patria-Famiglia si sono consumate tragedie e dittature, la sua dissoluzione nel nome di un individualismo radicale ne prepara tuttavia altre. L’essenza filosofica di tale atteggiamento prevalente verso il mondo è il nichilismo, nel quale i contorni dell’Io e dell’Altro, del Sé e della Storia svaniscono nella volontà di potenza individuale. Non la Realtà totale, ma il Sé diventa misura di tutte le cose.

La politica si adegua: vezzeggia gli anziani e “dimentica” i giovani

L’inverno demografico è dunque conseguenza deterministica del Geist nichilista occidentale del tempo? Chi è portatore sano di materialismo storico sa che gli intrecci tra la coscienza individuale e  le condizioni storico-materiali e politico-istituzionali sono troppo complicati, perché si possa tracciare una linea causale così dritta.

Una variabile decisiva è, infatti, la politica. Se il numero e il peso socio-culturale dei giovani diminuisce e aumenta quello degli anziani, a causa del declino demografico, la politica democratica, fondata in quanto tale sul consenso, tende ad aumentare le risorse a favore della componente più rilevante anche elettoralmente della popolazione, al fine di mantenere gli standard del Welfare: come sanità, pensioni, assistenza. Si innesca così un potente circolo vizioso: le politiche di bilancio a favore della parte più anziana della popolazione e il conseguente scarso sostegno ai giovani che vogliano mettere su famiglia accelerano il declino demografico. Quota 100 garantisce una rendita elettorale, come si è visto, ma sottrae risorse ai giovani che vogliano fare figli e fornisce molte ragioni a chi rinvia la paternità/maternità fino a renderla impraticabile.

E se “le tribù-corporazioni” sono decisive ai fini del consenso e della conquista del governo, allora si pone mano alla spesa pubblica, i cui buchi toccherà alle giovani generazioni di riempire.

Debito pubblico, calo demografico, politica piegata sul presente stanno portando il Paese al suicidio come Nazione. Un tragico democratico suicidio auto-assistito.

Tutta colpa della politica, dunque? Se l’elettorato premia una politica tutta china sul consenso immediato, la responsabilità primaria sta nella qualità del consenso stesso. Sta nel cervello e nel cuore degli elettori. Gli Italiani hanno scelto il declino, non vogliono guardare in avanti. E’ un’osservazione impietosa, realistica e leggermente disperata. Tutti gli Italiani? Parecchi, forse la maggioranza. C’è almeno una parte di Italiani che guarda fuori, verso il mondo, verso il futuro e che sta cercando faticosamente degli appigli per sfuggire alle sabbie mobili del declino. Tra questi molti nostri ragazzi che scappano da un Paese in declino.

Ora, una buona politica non è in grado, da sola, di rovesciare lo spirito del tempo, che spira su scala mondiale. Eppure, è viepiù necessaria. Catafratti nel nostro ostinato eurocentrismo che crede che il nostro tramonto – il tramonto dell’Occidente – coincida con il tramonto del mondo e la fine della storia, non vediamo l’intero pianeta geo-politico, come nuova fatale arena per tutti.

Chi farà la battaglia per la verità sul Paese, chi per squarciare notti e nebbie? Quando il popolo ebraico perdeva il sentiero, insorgevano i profeti, che ruvidamente richiamavano il popolo alle sue responsabilità. A noi Italiani basterebbe una modesta orecchiuta asina di Balaam.