Storie di donne crocifisse. Don Aldo Buonaiuto: “Una persona non può mai essere messa in vendita”

“Una persona non può mai essere messa in vendita”. Quindi la “prostituzione è una malattia dell’umanità, un modo sbagliato di pensare della società”. Parole forti, vere, che colpiscono la coscienza di ciascuno di noi scritte da Papa Francesco nella Prefazione del volume “Donne crocifisse. La vergogna della tratta raccontata dalla strada” (Rubbettino Editore 2019, pag. 220, 15 euro) scritto da Don Aldo Buonaiuto, antropologo ed esorcista.

Possiamo considerare don Aldo, noto per le testimonianze in tv e sui giornali a favore degli ultimi e sui drammi dell’emarginazione e fra i mediatori sul caso dei migranti della nave Diciotti. in prima linea contro lo sfruttamento della prostituzione e contro la dipendenza psicologica da sette e centri di oppressione come il “figlio spirituale” di don Oreste Benzi, fondatore 50 anni fa della Comunità Giovanni XXIII, che si occupa di salvare le prostitute dalla strada, ma anche di aiutare i poveri e gli emarginati in Italia e in altri 45 Paesi.

Tra le pagine di questo realistico libro-testimonianza di vite che s’incontrano, riecheggiano le voci delle donne crocifisse, che don Benzi chiamava “sorelline”, liberate dalla schiavitù della prostituzione. Nei capitoli sono disseminate le reali violenze subite, le sevizie e le minacce ripetute. Il testo è soprattutto un accorato appello alla coscienza individuale e collettiva a non cadere nella tentazione dell’indifferenza. Un’esortazione implicita ai legislatori a tutelare la dignità delle donne, dove anche la politica deve fare la sua parte.

Abbiamo intervistato Don Aldo Buonaiuto, 48 anni, nominato da Papa Francesco Missionario della Misericordia, fondatore e direttore del quotidiano digitale “In Terris”, con il quale ha vinto premi per il giornalismo di impegno sociale. Come presidente dell’associazione “Pace in Terra” promuove iniziative internazionali come la Giornata del Migrante Ignoto e la moratoria contro la legalizzazione di qualsiasi forma di schiavitù. Collabora, inoltre, con istituzioni nazionali e comunitarie per i corridoi umanitari e le mediazioni nelle emergenze migratorie.

“Nella stanza in cui ho incontrato le ragazze liberate della tratta della prostituzione coatta, ho respirato tutto il dolore, l’ingiustizia e l’effetto della sopraffazione. Un’opportunità per rivivere le ferite di Cristo”. Don Aldo, l’idea di scrivere il libro è nata il 12 agosto di tre anni fa, quando durante il Giubileo della Misericordia Papa Francesco fece una visita a sorpresa nella vostra casa romana di via Tiburtina?

«Sì, in parte è così. Quell’evento fu particolarmente significativo proprio perché un pontefice per la prima volta varcava la porta di una nostra casa-famiglia per incontrare le donne vittime della tratta e della prostituzione coatta. Questa visita inaspettata fu importante e commovente nello stesso momento, perché il Santo Padre come dice nella prefazione del libro non si aspettava di trovare queste persone così sofferenti. Grande fu la sorpresa delle ragazze che non sapevano dell’arrivo di Papa Francesco. Sorpresa, emozione e desiderio di condividere quel vissuto, quel calvario, motivo per il quale ho dato al volume il titolo di “Donne crocifisse”. Sono giovani donne che hanno vissuto un calvario simile a quello di Cristo».

La Comunità Papa Giovanni XXIII in diversi decenni di attività ha liberato dalla strada e accolto migliaia di ragazze vittime del racket della prostituzione. “Donne crocifisse”, giovanissime ex-schiave della tratta. Ce ne vuole parlare?

«Sono oltre centomila sulle strade d’Italia le ragazze che vengono messe in vendita, merce per soddisfare i bisogni di milioni di uomini, i cosiddetti clienti che pensano di avere il diritto di comprare il corpo di ragazzine che potrebbero avere l’età delle loro figlie o delle loro nipoti. La Comunità Papa Giovanni XXIII da oltre trent’anni va sulle strade e ne ha liberate circa settemila e di queste donne abbiamo sempre ascoltato lo stato di sfruttamento, di schiavitù, di tortura e di sevizie. Donne che mai hanno scelto di prostituirsi, ma che sono sempre state portate in Italia con l’inganno. Quelle che sono riuscite a essere salvate e recuperate, oggi alcune di loro hanno una nuova vita, altre sono rimaste nelle nostre strutture, perché troppo forti i drammi e le ripercussioni a livello psichiatrico che hanno subito. Queste donne purtroppo rimarranno per sempre segnate da questo orrore».

Con le storie testimoniate nel volume traccia traiettorie che si intrecciano inevitabilmente con quelle dell’immigrazione?

«Sì, le donne che provengono dalla Nigeria sono tutte ragazze che compiono quel viaggio della speranza attraversando il Mediterraneo, che invece diventa il viaggio della tratta di essere umani. Le ragazze finiscono nelle mani dei trafficanti, mentre anelano solo a trovare un lavoro, invece si trovano sulle strade del nostro Paese e d’Europa. C’è anche una grande percentuale di donne rumene che giungono da noi pensando di fare le domestiche o le badanti invece si ritrovano anche loro sulle strade. Quando parliamo di prostituzione in Italia, a partire da quella sulle strade, è di donne immigrate con l’illusione di trovare un lavoro normale. Non possiamo definire prostituirsi come un lavoro».

Don Benzi già negli anni 90 del XX Secolo considerava il meretricio come l’ingiustizia più antica e odiosa del mondo, perché, come amava ripetere, nessuna donna nasce prostituta ma c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare. Da allora, in Italia, che cosa è cambiato?

«C’è un po’ più di conoscenza del fenomeno dello sfruttamento e della schiavitù. È cambiato che, quando don Oreste diceva ciò che lei ha ricordato ora, negli anni 90 veniva deriso dalle istituzioni, sbeffeggiato dai media e minacciato dalle organizzazioni criminali. Purtroppo c’è ancora troppa indifferenza e mancanza di sensibilità. Occorre comprendere l’urgenza di andare a liberare le schiave. Noi ci troviamo di fronte a una forma di moderna schiavitù che vede molti, troppi indifferenti».

Quale potrebbe essere la soluzione alla prostituzione coatta?

«Noi sono anni che indichiamo il modello nordico, cioè quello che nasce in Svezia con il colpire la domanda, quindi disincentivare la domanda punendo il cliente che nei Paesi Nordici e anche in Francia viene considerato come il correo, il corresponsabile, anzi il motivo di questa grande offerta di minorenni, ragazzine portate sulle strade. Punendo la domanda, cioè il cliente, il fenomeno può essere drasticamente abbattuto. In Italia non è reato prostituirsi, è reato il favoreggiamento e lo sfruttamento. Colpire il cliente, la domanda equivarrebbe ad ampliare la lotta allo sfruttamento, perché è un far prendere coscienza che anche il cliente fa parte di questo giro di schiavisti, che è il motivo per cui i mercenari delle giovanissime donne schiavizzate le portano in Italia. C’è una domanda. Ciò non entra nella testa perché c’è una mentalità maschilista, noi viviamo ancora in un’epoca maschilista dove appunto si considera il maschio superiore alla donna e la donna che deve soddisfare i bisogni dei maschi. Essendoci questa mentalità, il fenomeno viene drammaticamente anche ridicolizzato».