I partiti politici. È tempo di rifondazioni

E’ tempo di rifondazioni per i partiti.

All’indomani della caduta del Muro di Berlino, nel 1989, i partiti fondatori della Repubblica si erano trovati a portare il peso dei massi che il Muro di Berlino aveva scagliato sul sistema politico-istituzionale. Il leghismo proponeva di rifare l’Unità nazionale su basi federali; il movimento referendario premeva per rifondare la Repubblica; la Rete e Mani Pulite per rifondare per via etica o giudiziaria i partiti. L’intero sistema politico scelse la via della rifondazione di sé. Così la DC si frammentò nei vari PPI, UDC, CCD, CRISTIANO-SOCIALI; così il PCI si infilò nei successivi PCI-PDS-DS-PD da un lato, dall’altro in Rifondazione comunista, in PDC, in PCd’I, in PCI; Forza Italia assemblò i resti del pentapartito. L’MSI si trasformò in Alleanza nazionale. Al movimento referendario fu data una risposta debole: cambiare il sistema elettorale.

I molti sistemi elettorali

I partiti non hanno mai voluto costruire un patto sul passaggio alla Seconda repubblica e perciò “l’hanno buttata in politica”: la Prima funziona benissimo, solo che la devo dirigere io. Donde sempre nuovi sistemi elettorali: Mattarellum, Porcellum, Italicum, Rosatellum... Le modifiche di volta in volta proposte, comprese quelle future, hanno come unico scopo quello di conservare il potere e di impedire che qualcun altro se lo prenda.
Alle spalle sta la paura reciproca: per la maggioranza di turno l’opposizione è sempre pericolosa per la democrazia. Quella paura, fondata a suo tempo su giustificate ragioni geopolitiche, ha generato tra il 1946 e il 1948 leattuali istituzioni repubblicane. Ora, le condizioni geopolitiche sono state sconvolte, ma è rimasta la paura inerziale. Nel rifiuto di modificare le istituzioni, rafforzando il rapporto diretto tra cittadini e Stato, tra cittadini e governo, sta, tuttavia, una più profonda resistenza esistenziale, comune all’intero sistema partitico: quella di perdere potere a favore dei cittadini e delle istituzioni. Il potere di scegliere il governo e tutta la rete collegata di sotto-poteri è il nocciolo del sistema partitico oggi. Perché rinunciare spontaneamente a tale nocciolo duro del potere?

In mancanza di meglio si rifonda

Perciò alla società che cambia, alla sua parte più moderna culturalmente e più proiettata nel mondo, si offrono solo periodiche rifondazioni dei partiti e della politica, tanto da destra quanto da sinistra.

La rifondazione della Destra è sotto gli occhi di tutti, è lineare, è comprensibile; questa leggibilità è, al momento, una delle ragioni del suo successo elettorale: si passa dal tenue liberalismo berlusconiano, già fallimentare alla prima prova di governo 2001-06, al peronismo e dal federalismo di Bossi al sovranismo. Raccoglie e potenzia paure, domande di protezione, conservatorismi di ogni specie. Almeno la metà degli Italiani vi si riconosce. Chiede di dar fondo alle scorte e non teme di intaccare anche le sementi. E poi la carestia toccherà alle future generazioni, a quelle poche che arriveranno sulla scena del mondo. La Destra fa il surf sul debito pubblico e sul declino.

La rifondazione della sinistra è più complicata, sparpagliata, illeggibile.

Intanto le sinistre sono, come osserva correttamente Salvini, almeno quattro: il PD, LEU, una parte del M5S, Italia viva. Queste quattro non si riconoscono reciprocamente: per tutte le altre Renzi è di destra. Quindi, dal punto di vista della sinistra, si riducono a tre. Quanto al M5S, si è cementato attorno alla lotta contro il sistema partitico. La prova del governo lo ha trasformato a sua volta in partito, cioè ha dovuto fare delle scelte “di parte”. Pertanto, alle “parti” che lo componevano non basta più il cemento antipartitico, perché il governare obbliga a scelte programmatiche di contenuto. Per il M5S la via della rifondazione appare pertanto impossibile. Il mix di assistenzialismo, statalismo, meridionalismo pauperistico che finora lo ha caratterizzato lo porterà ad approdare, eventualmente, ad un piccolo partito neo-democristiano meridionale. Al Nord, chi ce l’ha con “il teatrino della politica”, con i poltronari,  con la casta” vota Lega.

Dunque, le sinistre si riducono a due: PD/LEU e ITALIA VIVA.

Cristo si è fermato alla Bolognina?

Considerando il PD come un unico partito e non come un amalgama di correnti, come appare – LEU è una corrente esterna al PD – pare che Cristo si sia fermato… alla Bolognina. Occhetto ci arrivò dopo il XVIII congresso del 18-22 marzo 1989, che aveva lanciato, sull’onda dell’illusione gorbacioviana, l’ossimoro del “comunismo democratico”, che non poteva essere né sovieticosocialdemocratico né, tampoco, socialista italiano. Per essere sicuro che non pencolasse verso il socialismo, Occhetto, sostenuto dalla sinistra interna, aveva provveduto a liquidare preventivamente i miglioristi. L’avvenire di quella illusione fu breve: nove mesi. Ma i contenuti furono più duraturi. Il PCI-PDS e i DS hanno mantenuto la collocazione culturale di fondo: la sinistra democratica non poteva essere socialista, tampoco liberale. Il PD di Veltroni, quello del Lingotto 2007, tentò il salto, cercando di fondere la tradizionecomunista, fortemente segnata dal Berlinguer etico, con quella cattolico-democratica della sinistra democristiana, ma sempre lasciando fuori quella socialista.

Ma non è certo un caso che chi ne ha tentatol’effettiva realizzazione, Matteo Renzi, sia stato costretto ad andarsene, perché considerato “estraneo”,“di centro”, “berlusconiano”, “di destra”. Queste definizione o, per peggio dire, questi epiteti la dicono lunga sulla cultura politica che sta dietro. E qual è? Quella vetero-socialdemocratica, che arriva tardivamente da Bad Godesberg 1959, interpretata creativamente all’italiana: giustizia sociale distributiva, statalismo e assistenzialismo, sottovalutazione della questione del debito pubblico, subalternità al sindacato, dove dipendenti pubblici e pensionati sono la stragrande maggioranza, conservatorismo istituzionale. Lungo gli anni, sono entrati a far parte integrante di quella cultura il giustizialismo – Di Pietro eletto con il PDS – e il dirittismo. Quella di Renzi appare, sul lungo periodo, solo una parentesi, infelice dal punto di vista di Zingaretti e C., solo un momentaneo disorientamento. Assisteremo a Bologna ad un salto quantico? Pare difficile.

Il cammino in salita di Renzi

Quanto alla sinistra cattolico-liberale e socialista liberale di Renzi, che si vorrebbe incarnata in ITALIA VIVA, il cammino è in salita. E non solo perché nei sondaggi continua ad oscillare attorno al 5%. Le tre componenti di un qualsiasi partito – leader, programma fondamentale, organizzazione non stanno in relazione di causalità cronologica, ma in relazione re-circolare. Senza programma e senza organizzazione la leadership diventa liquida. Non si vede il Programma fondamentale, fatto di visione geopolitica dell’Italia e di grandi riforme. In particolare: qual è la cultura istituzionale? Se si punta sul sistema elettorale proporzionale, a fini di preservazione dello spazio politico, quale idea tradisce sulle riforme istituzionali? Coerenza vorrebbe che se si vuole fare il Macron in Italia, occorrerebbe annunciare, quantomeno, una battaglia politica e culturale per il semi-presidenzialismo, cioè per la Seconda Repubblica. Quanto all’organizzazione partitica, il progetto resta per ora nebuloso. Il grande talk-show della Leopolda e il rapporto adorativo-plebiscitario tra leader e seguaci fanno pensare solo ad un Comitato elettorale. Ora, un partito non è un’impresa pubblicitaria né un’agenzia di comunicazione. E’ un’impresa sociale e culturale, è un’impresa epistemica e educativa, per la quale è decisiva la capacità di raccogliere competenze e di agglutinare storie ed esperienze. La funesta ideologia populista della rottamazione non aiuta. Se Renzi dovesse dirigere Italia viva come ha fatto con il PD, finirebbe per imbarcare giovani ricchi di entusiasmo, ma poveri di cultura, e carrieristi ambiziosi, che scendono dal tram alla prima fermata. E’ accaduto a Milano, a Roma e altrove. Cattivo carattere? Egocentrismo? No, solo fragilità di storia e di cultura politica.
Conclusione? Senza coraggio di guardare il mondo e l’Italia così come sono, senza il coraggio di dire la verità agli Italiani sul loro declino, le rifondazioni si riducono a spot pubblicitari.