La solitudine di Papa Francesco. Il vaticanista Marco Politi: i conservatori contrari alle riforme, per sostenerlo ci vorrebbe una mobilitazione collettiva

“Un Papa profetico, una Chiesa in tempesta”, è il sottotitolo del volume “La solitudine di Francesco” (Laterza 2019, pp. 248, 16,00 euro) di Marco Politi, dove il più noto vaticanista italiano fa il punto sul pontificato di Bergoglio analizzato nella sua stagione più difficile. 

Il Papa argentino ha un vastissimo consenso non soltanto fra i cattolici, nel mondo cristiano ma anche fra i seguaci delle altre religioni e fra i non credenti. Papa Francesco sa toccare i cruciali e grandi problemi del nostro tempo, le migrazioni, le nuove schiavitù, la cura dell’ambiente, come pochi leader sanno fare. Eppure, è sotto gli occhi di tutti “la solitudine di Francesco”. Le cause? Sono molteplici. In tal senso appare significativo un passo del saggio: 

“Il 4 marzo 2018, dopo il voto alle politiche, Francesco si ritrova minoranza in Italia. È come se avesse perso le elezioni. Conquistano il Parlamento il Movimento 5 Stelle e la Lega.  Il Partito Democratico crolla al  18 per cento. Forza Italia precipita al 14. Un quarto di secolo di storia finisce polverizzato. Anche per la Chiesa è un colpo”. 

Abbiamo intervistato Marco Politi, commentatore de “Il Fatto Quotidiano”, per diciassette anni corrispondente vaticano di “Repubblica” e, prima ancora, del “Messaggero”, che insegna “Media e comunicazione di Papa Francesco” all’Università Telematica Internazionale – Uninettuno.

Nel cattolicesimo è in corso una guerra sotterranea per mettere Francesco, il pontefice riformatore, con le spalle al muro. Ce ne vuole parlare? 

«Francesco ha un grande programma riformatore sostenuto con entusiasmo da moltissime persone, non solo da credenti assidui ma da persone che si erano allontanate dalla Chiesa, viene guardato con interesse anche da agnostici. Però al tempo stesso ci sono dei gruppi conservatori, tradizionalisti o anche di persone che nella Chiesa hanno semplicemente paura della novità, che si contrappongono a questo suo programma. Francesco vuole riformare la Chiesa, rimodellare il volto della Chiesa, creare una “Chiesa comunità”, che non sia una specie di dogana che dice: “Tu entri, tu esci”. Francesco vuole rimodellare il papato. Difatti Bergoglio non vuole un papato imperiale, una curia che sia una specie di Stato Maggiore che dà ordini a tutte le chiese locali del mondo. Francesco parla spesso della conversione del papato. Ma è in corso, e questo è sotto gli occhi di tutti, una specie di guerra civile sotterranea, perché ci sono dei gruppi molto accaniti contro Francesco. È stata un’escalation: è cominciata con i Sinodi sulla famiglia, con petizioni, appelli, convegni contro la proposta di dare la comunione ai divorziati e risposati, poi ci sono stati gli interventi di quattro cardinali che mettevano in dubbio l’autorità dottrinale del Papa, poi ci sono stati i manifesti per le strade di Roma contro il Papa. C’è stato un falso “Osservatore Romano” diffuso elettronicamente con una falsa intervista del Papa che lo ridicolizzava. Ci sono stati anche manifesti di intellettuali cattolici e teologi che accusavano Francesco di eresia. Nella loro campagna di delegittimazione gli avversari più ostinati di Francesco tentano di spingerlo alle dimissioni. In ogni caso vogliono influire sul futuro conclave per rovesciare la sua linea. Lo dicono cardinali importanti come il tedesco Walter Kasper e lo stesso preposito generale dei gesuiti Padre Arturo Sosa».

Nel Suo volume “Francesco tra i lupi” (Laterza 2014), ha evidenziato la crescente opposizione in Vaticano e nell’episcopato mondiale contro le riforme del Papa argentino. È vero che questa ala conservatrice si fa ogni giorno più aggressiva, soprattutto sul web? 

«Lo ha detto anche recentemente il Cardinale Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, che c’è un accanimento contro il Pontefice con parole inusuali, molto aggressive. In effetti la Rete ha cambiato completamente il panorama rispetto a venti, trent’anni fa. Prima ci potevano essere polemiche intorno alla figura e alle parole di un pontefice, pensiamo a Giovanni Paolo II o a Paolo VI. Però erano polemiche che si svolgevano sui giornali, sulle riviste, dove doveva esserci comunque un interlocutore di un certo livello. Adesso con il web chiunque può dire qualsiasi cosa, spesso protetti da una sigla o dall’anonimato, ci sono dei veri e propri insulti contro il Papa, ripeto, è in atto indubbiamente una campagna di delegittimazione di questo pontificato. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha detto che negli ultimi cento anni non c’è stato un papa che sia stato così oggetto di un’opposizione all’interno del clero e dell’episcopato come Papa Francesco. E Andrea Riccardi è uno storico della Chiesa». 

Per quale motivo, invece, appare debole la mobilitazione dei sostenitori della linea riformatrice di Francesco? 

«Questo è un grosso punto interrogativo di questo pontificato. Da un lato certamente Bergoglio non vuole approfondire e alimentare le polemiche e frena le persone del suo entourage. Però nel complesso manca in questo momento quella capacità di mobilitazione che c’è stata ai tempi del Concilio. Ai tempi del Concilio Vaticano II, c’erano gruppi contrapposti che potevano essere i conservatori, oppure i riformatori. Ma tutti quanti intervenivano con molta forza sulla scena pubblica. Quindi a favore della svolta conciliare c’erano gruppi nelle diocesi, nelle parrocchie. C’erano riviste, teologi, ma c’erano anche vescovi e cardinali che scendevano in campo pubblicamente per sostenere la svolta conciliare. Oggi si registra una certa timidezza e un certo silenzio proprio da parte di coloro che anche personalmente sostengono le riforme di Papa Francesco. L’arcivescovo della Diocesi di Campobasso-Boiano, Giancarlo Maria Bregantini, una volta ha detto: “Tutti dicono: quanto è bravo Papa Francesco, quanto è in gamba, ma stanno come spettatori seduti sugli spalti di uno stadio, lasciando lui solo in campo”». 

Anche lo scenario internazionale si è fatto più complesso: Trump negli Stati Uniti respinge gli accordi su clima e migrazioni, temi non negoziabili per Bergoglio, in Europa orientale divampa un cattolicesimo xenofobo. In Italia, la situazione non è migliore, anzi. Che cosa ne pensa? 

«È cambiato completamente lo scenario internazionale e si è creato un clima sfavorevole rispetto a quella che è stata la politica della Santa Sede negli ultimi cinquant’anni. Non è solo la linea di Francesco è tutta la linea del Vaticano che ha puntato molto sulla necessità che ci fosse uno sforzo internazionale per il bene comune di tutti gli abitanti del Pianeta. Lo vediamo nelle Encicliche di Giovanni XXIII, di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e anche nell’Enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI. Si è affermata in molte parti del mondo una linea fortemente nazionalista, sovranista, populista che rompe anche le regole fondamentali della democrazia come l’abbiamo intesa dal dopoguerra ad oggi. Allora noi abbiamo questo sovranismo di Trump, che dice: “America First”, “America prima”, cioè prima l’America. Nel nostro Paese, il segretario della Lega Salvini dice: “Prima gli italiani”. C’è lo stesso atteggiamento in Polonia e in Ungheria e questo atteggiamento di suprematismo di una singola parte si colora immediatamente di xenofobia, di volontà di non tenere conto della storia degli altri, del problema dell’immigrazione e delle disuguaglianze. Al tempo stesso si afferma, in varie parti dell’Europa, pensiamo all’Europa dell’Est, un clerical nazionalismo. In Italia abbiamo questo fenomeno della Lega che da un lato è fortemente xenofoba, ma dall’altro lato ha un leader che apertamente sfrutta i simboli religiosi, l’invocazione alla Madonna, il rosario, il bacio al crocifisso, per spaccare una nazione, non per tenere conto del bene comune. In questo quadro è anche preoccupante la sortita del cardinale Ruini che durante un’intervista ha detto che bisogna dialogare con Salvini pochi giorni dopo in cui la Lega e altri partiti avevano rifiutato di votare al Senato una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza presentata dalla senatrice a vita Liliana Segre».

Nonostante ciò, il Pontefice, prosegue il suo cammino riformatore. “Io vado avanti”. È importante che Papa Francesco non venga lasciato solo, è questo il messaggio del volume e in quale modo possiamo far sentire il Santo Padre meno solo? 

«Non bisogna dimenticare che Francesco gode di un grande consenso sia in Italia, sia a livello internazionale. Ancora oggi oltre il 70% degli italiani è a favore del Pontefice argentino. Francesco vuole una Chiesa fortemente segnata dalla carità, dal messaggio delle Beatitudini evangeliche, il Papa tocca le piaghe del mondo contemporaneo quando parla delle disuguaglianze, delle nuove schiavitù, del precariato, quando parla della rovina dell’ambiente strettamente collegata alla rovina e al degrado sociale. Quello di cui Francesco in questo momento avrebbe certamente più bisogno è di una maggiore mobilitazione del grande corpo delle Diocesi e delle parrocchie. Io sono soltanto un osservatore, come giornalista osservo il fenomeno, posso dire che ci sono tantissime persone che nei dibattiti si dichiarano a favore della svolta riformatrice del Papa, però poi nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle conferenze episcopali succede ancora troppo poco».