Per filo e per sogno: la moda ecologica, etica e sostenibile per tessere relazioni

Artigianato, moda, stile. Ma anche, e soprattutto, etica e sostenibilità: sono queste la parole d’ordine che anche quest’anno hanno portato a Paladina (BG) “Per filo e per sogno”, la mostra-mercato del tessile ecologico, etico e sostenibile organizzata da Mercato&Cittadinanza e da alcuni Gas (gruppi di acquisto solidali) della Bergamasca e giunta quest’anno alla sua undicesima edizione.

Oltre venti produttori – tra sarti, tessitrici, artigiani della lana, realtà di promozione di filati biologici – si sono dati appuntamento in una kermesse che vuole porsi come alternativa valida (e pulita) al mondo della fast fashion, attualmente il secondo settore più inquinante al mondo dopo quello petrolifero e ricettacolo di sfruttamenti umanitari, sociali e ambientali. In che modo? Semplice: valorizzando le filiere corte, i materiali naturali e la moda artigianale, ma anche provando a uscire dalla concezione “usa e getta” degli abiti, tornando al riutilizzo creativo, al riciclo e al  second-hand. Durante la fiera, quindi, non è solo stato possibile vedere e acquistare capi sostenibili, ma anche cimentarsi in workshop dedicati, dall’uncinetto alla tessitura, dal patchowork ai laboratori per bambini, e partecipare agli incontri sul tema, come quello curato dall’associazione La Pecora Brianzola sulla possibile gestione della lana nella filiera corta. Insomma, una fiera che anche quest’anno ha voluto marcare un cambio di passo in un settore – quello della moda – nel quale a pagare le conseguenze di uno spinto consumismo sono stati finora sempre gli altri: l’ambiente, le aree più fragili del pianeta, le fasce sociali più deboli.

 

Tessere relazioni

La scelta di filati e tessuti naturali è la base delle attività di tutti gli espositori di “Per filo e per sogno”: dal cotone certificato bio-equo alla canapa, dal lino alle fibre naturali per calze e scarpe anallergiche, dalla seta stampata con ecoprint (una tecnica che prevede il trasferimento naturale di pigmenti da foglie e fiori direttamente sui tessuti, tramite bollitura o passaggio al vapore) agli accessori lavabili per bambini, la consapevolezza è che il chimico e l’artificiale non solo sono dannosi per l’ambiente e per la salute, ma sono anche… brutti, di bassa qualità sul lungo termine.

«Lavorare al telaio è un procedimento lungo e lento ed è per questo che utilizzo solo materiali naturali – spiega Letizia Rossini, tessitrice di Piazza Brembana, presente alla fiera con il suo stand dedicato alle produzioni in cashmere -. Che senso ha usare quelli artificiali? Che senso ha spendere tanto tempo per creare qualcosa di brutto?». Letizia organizza corsi di tessitura e con il telaio a mano crea sciarpe, scialli, arazzi e tappeti: un’attività, la sua, che ancora non riesce ad essere un lavoro a tempo pieno, perché «la produzione industriale fa una concorrenza spietata, usando materiali scadenti che permettono di abbassare il prezzo. Ma tessere – continua – non è solo un lavoro come un altro: è un modo per creare comunità, per avvicinarsi tra persone e soprattutto tra donne». È d’accordo Paola della Pergola, sarta, magliaia e tintrice con erbe e pigmenti naturali, secondo cui il percorso di riappropriazione dei lavori antichi per creare gruppo e condivisione è un passaggio necessario per le persone e per le donne di oggi: «quando ero giovane, negli anni Sessanta, ero convinta che una donna dovesse studiare per emanciparsi – dice -. Oggi siamo tutte abbastanza istruite, ma stiamo perdendo la capacità di fare con le mani, e di farlo insieme: dobbiamo tornare a questo».  È questa anche la filosofia che ha mosso Emanuela Venturi, presente alla fiera con il suo marchio Moda MeDea: dopo anni di attività nella cooperazione e un’esperienza in Bolivia, Emanuela ha scoperto l’arte boliviana della tintura della lana di alpaca con le erbe locali e della tessitura e ha deciso di valorizzare quest’arte unendo la competenza locale con il gusto italiano. Il risultato è una produzione per donna e bambino interamente naturale e che esce dalla classica concezione del “mercato equo e solidale”: «la nostra non è un’attività solidale – precisa -, è un’attività imprenditoriale a tutti gli effetti. Io ho imparato da queste donne e insieme abbiamo creato un brand ecologico, naturale e pulito capace di posizionarsi con qualità sul mercato occidentale».

Un mercato che spesso si dimostra incapace di cogliere il segno del cambiamento e rimane ancorato a meccanismi industriali, inadatti alle piccole produzioni: è il caso della lana, la cui lavorazione «è impostata ancora sulla grande filiera – spiega Claudio Febelli di Vivilana, che collabora con La Pecora Brianzola per quanto concerne la valorizzazione e la commercializzazione della lana di questo ovino locale, recuperato solo da pochi anni prima dell’estinzione -, e sono poche le realtà che si attivano per quantitativi più piccoli, propri della filiera corta».