La predica del parrocco arrabbiato

Mi hanno riferito di una omelia di un parroco della nostra diocesi. Omelia violenta e aggressiva, nella quale accusava i fedeli di criticarlo. Ed esortava ad andare direttamente da lui a dire le cose. A parte il fatto che l’amico che mi riferiva mi assicurava che andare a parlargli è come chiedere un incontro a un ministro, ti sembra il caso di fare omelie di quel tipo? Mi sembra che l’idea clericale del prete al centro di tutto, che fatica a ricevere critiche, sia un’idea molto dura a morire. Lo chiedo a te, osservatrice “esterna” ma, credo, comunque interessata alla vicenda. Gino

Simili atteggiamenti non rendono una buona testimonianza al Vangelo, caro Gino. Tuttavia comprendo le difficoltà dei sacerdoti, chiamati ad affrontare, secondo lo Spirito del Signore e non secondo la mondanità denunciata da papa Francesco, le molteplici sfide attuali. Non stupiamoci, né scandalizziamoci delle contro testimonianze di alcuni di loro. Al contrario assicuriamo a ciascuno una preghiera affinché il loro ministero sia secondo il vangelo e non conforme al proprio “Io”. Anche questi nostri fratelli, che hanno ricevuto senza alcun merito il dono del ministero sacerdotale, sono chiamati, proprio come ogni cristiano, a convertirsi e ad abbandonare l’egoismo, l’egocentrismo e tutti gli “…ismi” per seguire con passione e radicalità il Signore Gesù.

La tentazione del clericalismo, il pastore e l'”odore delle pecore”

Lo sappiamo bene: la tentazione del clericalismo è reale sia per i presbiteri che per i laici, ce lo siamo detti diverse volte sulle pagine di questa rubrica! Essa risente di una mentalità ormai superata, che, tuttavia, negli scorsi decenni costituiva l’humus di una comunità.

Chi è, allora, il sacerdote? Quale è l’identità del presbitero? Con quali atteggiamenti interiori è chiamato a svolgere il suo ministero? Condividere in tutto la vita del “gregge”; lasciarsi imbrattare dall’odore delle pecore; abbassarsi per prendersi cura degli ultimi; farsi “ultimo” per salvare ad ogni costo la pecora malata; accettare il confronto, ammettendo i suoi sbagli; chiedere perdono alla comunità e ai confratelli, nella consapevolezza di dover imparare da tutti, anche da coloro che sono ostili; mettersi il grembiule per servire i suoi fratelli, integrandolo con la liturgia che celebra ogni giorno: ecco alcuni atteggiamenti che qualificano il ministero del prete.

La stola e il grembiule secondo don Tonino Bello

A questo proposito sono illuminanti le riflessioni di don Tonino Bello:

Forse a qualcuno può sembrare un’espressione irriverente, e l’accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio.

Si, perché di solito la stola richiama l’armadio della sacrestia, dove con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d’incenso, fa bella mostra di sé, con la sua seta ed i suoi colori, con i suoi simboli ed i suoi ricami. Non c’è novello sacerdote che non abbia in dono dalle buone suore del suo paese, per la prima messa solenne, una stola preziosa. Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore, per un giovane prete. Eppure è l’unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo. Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì Santo, non parla né di casule, né di amitti, né di stole, né di piviali.

La cosa più importante, comunque, non è introdurre il “grembiule” nell’armadio dei paramenti sacri, ma comprendere che la stola ed il grembiule sono quasi il diritto ed il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile.

La stola e il grembiule, dunque!

A noi laici il compito di aiutare i nostri pastori a non dismettere l’uno a favore dell’altro!