Fratel Costantino Nespoli, da Stezzano al Malawi: “Insegno ai ragazzi il mestiere di falegname”

Costruire, lavorare e pregare sono i verbi che, insieme, concorrono a comporre il paradigma di fratel Costantino Nespoli: monfortano bergamasco che, per quasi quarant’anni, ha promosso la crescita umana e religiosa del Malawi. Sono diverse, infatti, le opere edificate dal missionario-falegname nell’ex colonia inglese: scuole, asili, case vocazionali, seminari, ospedali, centri di formazione al lavoro, ponti, serbatoi e strade. Il tutto per dare un aiuto concreto agli abitanti del luogo, insegnando loro un mestiere e, di conseguenza, favorendo lo sviluppo del Paese.
Classe ’42 di Stezzano, fratel Costantino è il primo di nove figli. La madre, donna di profonda fede, lo cresce tra mille difficoltà, mentre il marito è prigioniero di guerra in Germania. Al termine del conflitto, la famiglia si ricongiunge: intanto il ragazzo, finiti gli studi elementari, trova impiego in una falegnameria. Nel frattempo, all’età di quindici anni, Costantino, consigliato dal parroco di Stezzano e da alcuni missionari monfortani, decide di entrare nella congregazione: la sua vocazione è quella del fratello, ossia di un religioso missionario che non ha però l’ordinazione sacerdotale.
Ancora adolescente, parte quindi per Torino, dove adempie a quattro anni di formazione. Poi sette anni allo studentato di Roma e, a seguire, i periodi passati nella case monfortane di Reggio Calabria e Redona. Nel 1981 arriva la chiamata per l’Africa, «perché i superiori avevano intenzione di organizzare un laboratorio per insegnare ai giovani del Malawi diverse attività. Soprattutto quella del falegname: c’era bisogno di me».
Destinato alla parrocchia di Ulongwe, fratel Costantino realizza un centro con una falegnameria, carpenteria del ferro, meccanica e edilizia che, alla sua partenza quindici anni dopo, dava lavoro a circa 130 persone. «La diocesi di appartenenza, Mongochi, istituita nel 1967, era abbastanza recente; e il lavoro che abbiamo dovuto fare, di conseguenza, tanto – spiega il missionario stezzanese -. In primis scuole, perché solo attraverso l’istruzione si poteva iniziare un certo discorso con la popolazione: in tutta la diocesi noi monfortani ne abbiamo edificate più di trecento. Poi piccoli dispensari, attrezzati con le principali medicine, e, per favorire le vocazioni, seminari: uno minore, con circa trecento ragazzi, e uno maggiore, adibito allo studio di teologia e filosofia, che contava un centinaio di studenti».
Dopo quindici anni a Ulongwe, dal 1995 al 1998 fratel Costantino è economo a Balaka, sempre nella diocesi di Mongochi. A seguire, un biennio nella missione di Kankao: «Furono anni di lavoro molto intenso, ma anche di grandi soddisfazioni – racconta il bergamasco -. Ho costruito un grosso ospedale per le Suore delle Poverelle e, con l’ausilio di tre trattori, abbiamo sistemato una strada. Poi un salone parrocchiale, dormitori, aule per il catechismo, cucine, alcune abitazioni per lo staff dell’ospedale. Inoltre, ho ristrutturato anche la casa dei missionari della parrocchia».
Ritornato a Balaka, nel 2001 Costantino è colpito da un infarto: rientra in Italia per l’intervento ma, dopo un periodo di riabilitazione, è di nuovo in Malawi. Questa volta nella diocesi di Dedza. «Lì abbiamo costruito una grande chiesa parrocchiale, altre tre succursali, e aiutato, in modo particolare le Suore delle Sacramentine, a edificare la loro casa di formazione religiosa e il loro asilo per 350 bambini. Poi una scuola elementare parrocchiale per 2700 ragazzi, un salone multifunzionale da 430 posti, una chiesa e diversi campi da gioco».
Sempre all’opera, e pronto a nuove sfide, il missionario bergamasco sposta il cantiere a 180 km di distanza, nella missione di Monkey Bay, diocesi di Mongochi, dove per sei anni si dedica soprattutto alla costruzione di un complesso per le Suore delle Sacramentine: un orfanotrofio, l’asilo, la scuola primaria, le case per il personale scolastico e quella per la comunità delle suore.
«Il mio lavoro – racconta fratel Costantino, riassumendo il senso del suo operato in Malawi – era quello di falegname: sono andato in Africa proprio con l’intenzione di formare a questa attività. I ragazzi del posto, finiti i corsi con me, ricevevano una cassetta con i ferri del mestiere e, al ritorno nei loro villaggi di origine, lavoravano il legno a mano, insegnando a loro volta la professione ad altri giovani. In questo modo guadagnavano da vivere per le loro famiglie, e nei villaggi vi era la possibilità di far costruire serramenti e arredi per la casa a prezzi accessibili e senza dover andare lontano per acquistarli. Questa iniziativa, pur semplice, serviva a far progredire la vita delle persone nelle comunità più povere. Inoltre ho costruito alcuni laboratori per gli operai più capaci ed esperti, cui loro stessi erano proprietari: un’impresa edile che aveva circa cento dipendenti, una falegnameria con ottanta operai, altre due con trenta e venti lavoratori, un garage per automobili con annessa carrozzeria, e un mulino. Costruivo e poi passavo il testimone alla popolazione locale, che da più di trent’anni va avanti da sola: ciò genera tanto lavoro».
Nel 2014, fratel Costantino è chiamato in Zambia, a Chipata, per sostituire un altro missionario: lì, però, nel fare un lavoro, cade e si spezza la schiena. Operato a Bergamo, torna per l’ultima volta in Malawi nel 2017, per completare una costruzione a Monkey Bay.
Che cosa rimane, allora, dei quasi quarant’anni spesi in Africa? «È stato un periodo lungo: circa metà della mia vita l’ho passata in missione – conclude il settantasettenne -. È stata un’esperienza bellissima, che mi ha permesso di conoscere molte persone preziose. In tal senso, una menzione speciale va ai tanti volontari, soprattutto bergamaschi, che mi hanno aiutato nel tirare su dal nulla chiese, scuole e ospedali. Ciò che mi dà più gioia, però, è vedere che i corsi professionali hanno dato i loro frutti: i ragazzi formatisi ai miei laboratori, giovani intelligenti e capaci ma privi di mezzi, ora vanno avanti da soli per la loro strada. Sono falegnami, carpentieri, muratori, operai: è una soddisfazione».