Le feste e quella sedia vuota

L’arrivo delle feste, in particolare quelle natalizie, evoca spontaneamente un senso di gioia, legata certamente a quanto si celebra in queste occasioni, ossia il Natale e il capodanno, ma anche al fatto che esse costituiscono un’occasione attesa di incontro con le persone care. Mi sembra permanere, infatti, la tradizione secondo la quale il Natale è per lo più vissuto con le proprie famiglie, mentre il capodanno con gli amici, soprattutto nelle famiglie giovani.

La gioia della relazioni che ci sono, la tristezza di quelle che sono finite

Gioia e felicità legati a relazioni che si re-intensificano, dunque. Ma non per tutti è così. Qualcuno lo vorrebbe tanto, ma non è più possibile. Non è più possibile perché la morte è entrata in quella famiglia e ha portato via una persona cara. Questa davvero non guarda in faccia a nessuno e porta via, indistintamente, giovani mamme e papà, volontari delle nostre comunità cristiane o in enti civili, sacerdoti nel pieno delle loro attività pastorali.

Negli ultimi mesi trascorsi, diverse persone a me care sono andate in Paradiso e, in occasione del Natale, per la confessione o per un semplice scambio di auguri, ho incontrato i loro parenti. Ho incontrato mariti, mogli, figli, amici. E all’accenno alle feste in arrivo sono arrivate le lacrime. Strazianti, giuste, inarrestabili. Con un filo di voce, qualcuno mi dice: “Auguri don. Io sto cercando di andare avanti. Ma adesso che arriva il Natale pensare di mangiare insieme ai parenti… e quella sedia vuota, mi distrugge dentro. L’anno scorso era qui don, ridevamo e speravamo di sconfiggere quel male, invece… Cosa devo fare?”.

Non ho saputo fare altro che abbracciare questa persona, come le altre, condividendo le lacrime. A chi, ancora bambina, è rimasta senza papà, ho dato una carezza. Che dovevo dire? Frasi di circostanza? No, non serve a nulla.

Vorrei anch’io capire

Vorrei anch’io capire, vorrei sapere perché uomini e donne buoni devono passare da sofferenze così atroci, così come, sono sincero, vorrei capire perché se ne vanno i volontari migliori, quelli che danno l’anima, che non sparlano di nessuno, non vogliono male ad alcuno e fanno del bene qualunque sia l’incarico che viene loro dato e chiunque sia il prete che glielo affida. Se Dio mi darà la grazia di incontrarLo al termine dei miei giorni, glielo chiederò. O forse no, perché sarò così contento di riabbracciare le persone a cui voglio bene e sono già con Lui che non avrò bisogno di fare domande. Certo ora resta quel problema, quella sedia vuota.

Si può anche piangere

A chi ha insistito nel domandarmi consigli pratici ho risposto così: “Guarda, io credo che quel giorno tutti voi che sarete presenti a pranzo avrete lo stesso pensiero e lo stesso dolore nel cuore. Guardarvi tra voi senza dirvelo sarebbe inutile e controproducente. Quella sedia, lasciatela lì, ditevi chiaramente che state pensando alla persona che è in Paradiso. E dite insieme una preghiera per lei e per voi. Poi mangiate insieme e scambiatevi gli auguri. E se vi verrà da piangere, piangete senza paura e senza vergogna. Quelle lacrime dicono l’amore, che motivo c’è per nasconderle?”.

Pensandoci nei giorni successivi al Natale, mi rendo sempre più conto di come la pastorale delle nostre comunità debba riflettere seriamente su queste situazioni, decisamente numerose. Personalmente, credo sia importante una pastorale della prossimità, della presenza che non ha fretta di dire o fare qualcosa, ma di esserci, di stare accanto. È solo la relazione che aiuta, non i grandi discorsi. E allora, all’inizio di questo 2020, mentre auguro a tutti un Buon Anno, rivolgo a Dio, che custodisce la vita di ogni uomo, una preghiera particolare per chi soffre la perdita di una persona cara. Sia Lui a dare consolazione ai cuori, nell’attesa della vita in Lui, dove i legami d’amore non hanno fine, mai.