Matilde e il diabete di tipo 1. “Non e’ poi cosi’ male”, con la positività tutto si affronta

Matilde Bianca è una ragazzina bergamasca di 12 anni con lunghi capelli scuri, un sorriso vispo, un bel paio di occhiali e un neo sul mento. Una ragazzina come tutte le altre, penserete. O forse no, forse lei un po’ speciale.

Ci racconta la sua storia la mamma Caterina: “All’età di 8 anni Matilde aveva sempre molta sete ed era spesso stanca. Aveva anche un esantema, ossia delle macchioline sospette sulla pelle”. Caterina, che di professione insegna Scienze, si è insospettita e ha portato la sua bambina ad effettuare controlli presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, dal quale è arrivata la diagnosi: l’esordio di diabete di tipo 1. “Una malattia cronica, autoimmune, chiamato anche diabete mellito o infantile” spiega Caterina.

Matilde ha iniziato quindi a fare i conti con abitudini tutt’altro che simpatiche: provarsi la glicemia pungendosi il dito e fare iniezioni di insulina sei volte al giorno, nella pancia o nel braccio, prima di ogni pasto. Spiega la sua mamma: “Chi, come lei, soffre di diabete di tipo 1 è insulino-dipendente, dipende cioè da un farmaco salvavita e ne dipenderà per tutto il corso dell’esistenza. Si tratta a tutti gli effetti di una disabilità, ma è una malattia subdola perché non si nota subito con evidenza”.

Per un bambino, che sia a scuola o con gli amici, che deve tirare fuori il kit, preparare la siringa e farsi l’iniezione è certamente un gesto che crea disagio. Caterina però non si è persa d’animo davanti ad una notizia che non era certo bella, ma che non era neanche la fine del mondo: “La malattia non è una colpa, può succedere a chiunque–  racconta -per questo io ho sempre abituato Matilde a fare quei gesti con naturalezza e senza inibizioni,  le ho spiegato che fa parte della vita e occorre accettarlo nel modo più sereno possibile. Non bisogna tenere a tutti i costi i figli in una bolla, anche se per alcune cose siamo tentati di farlo per proteggerli. Credo che occorra piuttosto dare loro gli strumenti per affrontare le difficoltà nel migliore dei modi. Mia figlia all’inizio ha avuto qualche imbarazzo a volte, ma pochi, proprio per questo motivo”.

Un insegnamento importante, quello di questa mamma: farsi forza nelle difficoltà e vedere in ogni accadimento della vita dei lati positivi. “Di fronte alle sofferenze ci si ritrova più uniti, si vedono le cose più importanti e quali sono i valori veri– racconta Caterina -. Ho cercato di trasmetterle che tutto sommato ciò che le è capitato non è così drammatico, nella sfortuna è stata fortunata perché non è mai stata male e nella sua vita potrà comunque fare tutto ciò che desidera: studiare, viaggiare, avere una famiglia”. La mamma le ha fatto capire: sei speciale, molto coraggiosa. Perché no allora organizzare una festa? L’idea un po’ folle si è concretizzata in occasione dei suoi 10 anni, quando Matilde ha invitato tutti i suoi compagni e ha regalato loro un libricino “Non è poi così male” (il titolo lo ha scelto proprio lei), in cui spiega ciò che le è capitato, che non è così drammatico, ci si convive nonostante le difficoltà e le sofferenze.

Caterina le ha preparato una griglia con delle domande, come una sorta di testo guidato, e da qui è nato il libricino. La bambina, con la spontaneità genuina dei suoi anni, ha spiegato agli amici: “Quando vado in ipoglicemia mangio due caramelle o un succo, e posso farlo anche se ho appena lavato i denti: non è così male”. La mamma spiega: “Ne abbiamo stampate 200 copie a nostre spese e le abbiamo distribuite anche a tutte le scuole elementari e alle biblioteche bergamasche, affinché diventi un messaggio. Ci piaceva l’idea di far conoscere questa malattia a più persone possibili, perché ci siamo resi conto che c’è molta ignoranza a riguardo, viene confuso spesso con il diabete di tipo 2, che ha con il diabete mellito delle caratteristiche in comune ma anche molte differenze”.

“All’epoca, parliamo del 2017, Matilde doveva pungersi con la siringa, provando un dolore che le lasciava anche dei lividi su tutto il corpo, dimostrandosi senza dubbio molto coraggiosa. Ad oggi, rileggendo insieme questo libricino- confida Caterina -vedremmo molti aspetti in modo diverso: lei adesso sul braccio porta il libre, un dispositivo che le permette di non bucarsi più, con un ago che entra direttamente nel derma e negli interstizi cellulari e rileva il valore della glicemia. Lo cambia ogni 14 giorni, è mutuabile, è molto più comodo e permette un miglioramento della qualità della vita. Ha anche un microinfusore che cambia ogni tre giorni che le eroga insulina attraverso la pelle”.

Un bel cambiamento, quindi. Anche dal punto di vista psicologico e sociale, per una ragazzina che entra nella fase dell’adolescenza è molto importante. Quest’esperienza, e tutto ciò che si porta dietro, non ha scalfito Matilde. La sofferenza non l’ha fatta sentire malata o sfortunata, bensì più forte, resiliente. Quando Caterina si è ammalata di tumore al seno, ha spiegato ai suoi figli (oltre a Matilde Bianca, anche Gregorio) che avrebbe seguito delle cure che l’avrebbero fatta stare meglio, però le avrebbero fatto perdere i peli del corpo, così come i capelli: “Pensate che bello, non dovrò più fare la ceretta – ha sdrammatizzato con i suoi bambini -Però sarò Crapa Pelata!”.

Caterina ha quindi preso un albo illustrato del celebre Crapa Pelata e ha detto loro: “Pazienza, vorrà dire che metterò un bel turbante colorato, come quelli delle signore africane”. Cercando di affrontare l’argomento in modo più sereno e giocoso possibile, i bambini hanno visto l’ostacolo come una cosa che fa parte della vita. “Matilde ha voluto mettere il turbante a scuola per assomigliarmi”. Anche se la chemioterapia non è stata affatto una passeggiata per Caterina, dalle sue parole traspaiono solo speranza, grinta e desiderio di vedere i propri figli sereni, ma anche consapevoli e forti di fronte alle batoste della vita.

Bisogna portare pazienza, accettare ciò che ci capita– sostiene –. Io Matilde non l’ho mai sentita lamentarsi, né arrendersi, è una ragazzina indipendente e sa che deve gestire da sola questa sua problematica”. L’Associazione Noi insieme per i diabetici insulino-dipendenti, che ha messo il proprio logo sul libricino, organizza periodicamente campus ai quali Matilde non vuole mai mancare. “Si sente parte di un gruppo in cui si respira solidarietà e condivisione con gli altri ragazzi che soffrono della sua stessa malattia e ciò la fa sentire meno diversa, meno sola”.

Ad oggi non si guarisce dal diabete, anche se la scienza e la tecnologia progrediscono ed è una grande fortuna. “La vita ti mette alla prova, spero di aver dato a mia figlia gli strumenti per vivere con gioia tutto ciò che ci succede. In questi due anni il libricino sparso per la città ha seminato speranza e positività, è capitato tra le mani di genitori e maestre l’hanno adoperato per aiutare bambini malati, che non riuscivano ad accettare ciò che era successo loro, donandogli forza e ottimismo”.

Di certo, parlandoci chiaro, non si può non accorgersi che Caterina è una mamma speciale, un modello di grinta e coraggio che trasmette non solo ai suoi figli ma a chiunque la conosca, è capace di dare speranza agli altri tramite il suo esempio, essendo semplicemente se stessa.