La retorica del futuro e i giovani dimenticati

La retorica del futuro che rischia di morire

Nell’inevitabile retorica di inizio anno la parola “futuro” è quella che corre di più. Soprattutto se il bilancio dell’anno appena passato non si presenta brillante. Ci resta, appunto, il futuro, cui aggrapparci, nella convinzione che il tempo ce lo consegni intatto quale nostro “diritto naturale” e, in ogni caso, migliore del passato. Così agisce dentro di noi “il principio speranza”. D’altronde, per migliaia di anni il futuro ci è venuto incontro fisicamente portato dai neonati, a carponi. Epidemie, carestie, guerre di sterminio non hanno mai inceppato il meccanismo della riproduzione delle generazioni a mezzo delle generazioni. Ma, partire dagli anni ’90, è accaduto l’impensato, almeno nell’Occidente europeo: le culle sono sempre più vuote. Nel 2019, in Italia il numero dei neonati è sceso sotto quello degli ottantenni. I dati pubblicati da ISTAT e da agenzie private quali il “Laboratorio futuro” dell’Istituto Toniolo sono a disposizione di tutti.

Resta un fatto: che la continuità biologica con il futuro si è spezzata. Solo a poco a poco questo evento si sta facendo largo nelle nebbie della coscienza pubblica, distratta e inebetita dalla rumorosa e rutilante comunicazione ossessivo-presentista di vecchio e di nuovo tipo. Si tratta di un evento che genera paure profonde. Se le culle sono vuote, se le aule diminuiscono di numero, se le chiese si chiudono, se i villaggi sono abbandonati, se i nostri giovani vanno all’estero e tendono a non tornare, a chi lasceremo il meglio della nostra civilizzazione millenaria, che, nonostante guerre, terremoti, incuria e ignoranza, abbiamo ancora tra le mani? L’avvio di un morbido suicidio demografico di interi popoli europei, proprio mentre la globalizzazione ha innalzato dalla povertà assoluta ad un primo livello di sussistenza circa 800 milioni di individui dell’ex-Terzo mondo ed ha spinto i più dotati e intraprendenti di loro a prendere le vie dell’Europa, ha smosso “la pancia” di molti europei – non è stata questa il motore principale della Brexit? – curvando la loro psiche e la loro comprensione del mondo sulla

Anche i progressisti sono diventati conservatori

Di qui la riscoperta dei “sacri confini”, di qui i nuovi crociati dei valori cristiani e dei presepi nonché paladini improbabili della cristianità occidentale. E’ vero che la civilizzazione europea e il lascito dottrinale e laico del Cristianesimo, su cui essa si fonda primariamente, sono a rischio estinzione?  Sì! Perché non lo si vede? Per ignoranza o rifiuto delle nostre radici culturali – si vedano i risultati del referendum francese sul progetto di Costituzione europea del 29 maggio 2005 – per pallido nichilismo, chiuso in un benessere ottuso e arrogante – per laicismo assoluto, inconsapevole della fragilità delle proprie basi etiche. Si deve solo constatare il fenomeno drammatico e inquietante  di ciò che un Allan Bloom europeo potrebbe definire “the Closing of the European Mind” – la chiusura della mente europea. Ne costituiscono soltanto una conseguenza le non-politiche per la realizzazione degli Stati uniti d’Europa. E’ questa abulia intellettuale e morale che ha permesso di imputare il rischio mortale che corre la civilizzazione europea a forze esterne, in primo luogo all’immigrazione islamica.

Le cifre di tale “invasione” in Europa, Norvegia e Svizzera comprese, fornite dal PEW Research Center all’inizio del 2019, segnalano la presenza di 25,8 milioni di mussulmani, equivalenti al 4,8% della popolazione europea. Secondo le previsioni, nel 2050 la presenza islamica dovrebbe aumentare a 57,9 milioni, pari all’11,2%. In Italia gli islamici sono 2,8 milioni su 60 milioni di abitanti; rappresentano la metà degli immigrati, che sono più di 5 milioni e che sono l’8,7% della popolazione italiana.

Se, nonostante le cifre e contro ogni evidenza, gli Italiani percepiscono che gli immigrati sono tre volte di più e che quelli islamici sono la stragrande maggioranza, ciò che è più allarmante non è la dispercezione dei numeri reali degli immigrati, ma la cecità sulle cause del trend di estinzione della civiltà europea. Giacché esso non è stato innescato da forze esterne all’Europa e all’Italia, lo abbiamo avviato noi. Se si deve trovare un capro espiatorio, quello siamo noi stessi. Abbiamo, semplicemente smesso di generare figli, non abbiamo creato le condizioni economico-sociali e culturali perché i nostri figli generassero i propri, non li abbiamo educati ad andare incontro alle sfide sempre nuove del mondo. Abbiamo insegnato loro a consumare il mondo, forse a conservarlo, non a produrre sempre nuovo mondo con il cervello e con le mani. Le generazioni del dopo-guerra hanno strenuamente lottato per migliorare la propria condizione e l’hanno trasformata in un intoccabile “stato di cose presente”. Partiti e sindacati, compresi quelli sedicenti progressisti, sono diventati conservatori dello stato di cose presente, hanno detto sì ad ogni interesse, ad ogni corporazione, attingendo ampiamente alla spesa a debito pubblico crescente. Ora, lo status quo sta franando. Viene la nostalgia di Marx, almeno di quello che scriveva che “il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”.

La politica snobba i giovani

Pertanto la condizione dei 9 milioni e 630 mila giovani italiani tra i 20 e i 34 anni è diventata difficile. Sì, molti sono realmente schizzinosi – “choosy”, disse la Fornero tra gli sberleffi mal indirizzati – quando cercano o trovano un lavoro, molti sono disoccupati o inoccupati sotto forma di NEET. Del milione e settecentomila universitari, ben 700 mila sono fuoricorso. L’origine sociale dei genitori continua ad essere fortemente predittiva circa il successo/insuccesso educativo e professionale dei ragazzi. Tanto che due sociologi americani, Richard Reeves e Isabel Sawhili, hanno con spiritosa rassegnazione constatato: “L’unico consiglio che si deve dare ai giovani: “scegliete con cura i vostri genitori”!

Dei 420 mila emigrati dall’Italia nel 2019, la metà sono giovani tra i 20 e i 34 anni. Però, la sera-notte riempiono i marciapiedi davanti ai bar. Se il mercato li coccola, se la pubblicità è tutta per loro – salvo quella delle dentiere, dei medicinali anti-prostata e dei montascale… – la politica li trascura. E perché mai dovrebbe preoccuparsene? Se bisogna vincere la prossima campagna elettorale – ce n’è almeno una all’anno! – la maggior parte dei voti non arriva dai giovani, che sono solo un quinto dei 51 milioni di elettori. D’altronde stanno diminuendo di numero e in percentuale rispetto agli anziani. L’indice di dipendenza tra gli ultra-sessantacinquenni e i 20/64enni sta crescendo. Se il grafico a forma di abete rappresentava il trend demografico negli anni ’50, oggi sta assumendo la forma del fungo.

Difficile prevedere, giunti a questo punto della storia del mondo, se gli Europei e gli Italiani siano in grado di invertire le loro dinamiche demografiche fatali e pertanto il declino della loro civiltà. La ruota della Storia globale gira in un senso solo, per invertire il quale potrebbe non bastare il moto in senso contrario delle ruote dei popoli e degli imperi che sorgono e poi cadono né tampoco di quelle dei singoli individui.

A noi resta solo una strada, da perseguire con ostinazione e intelligenza creativa: trasmettere a chiunque si trovi sul nostro territorio fisico i valori, le bellezze, i concetti della nostra civiltà. E’ la strada dell’educazione dei nostri giovani – quelli che questa stanca società riesca ancora a generare – e dell’integrazione educativa degli immigrati. Come, d’altronde, è sempre accaduto nella storia dei popoli che hanno abitato l’Europa. Il controllo e la selezione rigorosa dell’immigrazione economica è solo una piccola parte delle politiche dell’immigrazione. La più grande riguarda l’integrazione. Tanto i dati OCSE-PISA quanto i dati INVALSI documentano le difficoltà straordinarie che incontrano i figli di immigrati sulla strada dell’istruzione-educazione e perciò dell’integrazione.

La civiltà del nostro bellissimo Paese è alimentata da due sorgenti vive: il nostro splendido passato e la nostra gioventù. Il Paese di oggi le sta disperdendo.