Viaggio nei monasteri di Creta, tra spiritualità e storie di resistenza

Capitammo per la prima volta al Monastero di Agia Triada durante una mattinata grigia d’autunno: eravamo sull’isola di Creta (Grecia) da un paio di giorni, precisamente nella suggestiva cittadina di Chania, e a consigliarci di visitare il monastero fu un’addetta dell’ufficio turistico, una gioviale signora greca di mezza età che – così ci confidò – andava tutte le domenica ad Agia Triada per pregare. Fu quello, credo, il primo contatto con la spiritualità cretese: una spiritualità fatta di gesti semplici e quotidiani, tanto radicata nella storia e nella cultura dell’isola più grande della Grecia da permeare qualsiasi aspetto della vita.

A provarlo sono le innumerevoli minuscole cappelle votive ai margini delle strade, i tre segni di croce a dita congiunte fatti da chi passa loro accanto, le chiesine bianche e scarne sparse persino sui pendii più impervi e sempre aperte, la chiave nella toppa e un albero fuori a fare ombra. Ma a provarlo sono anche i monasteri ortodossi cretesi, che nel corso dei secoli hanno non solo plasmato i territori, ma anche custodito il cuore antico e autentico dell’identità cretese, spirituale e civile: sono loro ad aver resistito alla latinizzazione prima e alla dominazione turca poi, e sono numerosissime le storie di eroismo connesse ai monasteri, divenuti in alcuni casi dei veri e propri monumenti di resistenza civile. A riprova del fatto che lì – su quell’isola antica che lo scrittore greco Kazantzakis definì “la sintesi perfetta di Oriente e Occidente” – parlare di fede significa parlare di qualcosa di vivo e di visceralmente identitario.

I monasteri di Akrotiri

Il Monastero di Agia Triada è uno dei complessi monastici cretesi più famosi e più visitati. Situato nell’area settentrionale della penisola di Akrotiri (a est della città di Chania), ospitava un tempo un importante istituto ecclesiastico: oggi vi abitano sei monaci sotto la guida spirituale di Padre Damaskinòs, e ai turisti è permesso l’accesso a patto che rispettino la sacralità del luogo. Già arrivando lungo il viale alberato di cipressi, oltre il quale si stendono vigneti e uliveti a perdita d’occhio, si capisce che qualcosa di speciale qui lo si può trovare eccome, a prescindere dalla quantità di fede che ciascuno porta nel cuore. Fu costruito nel XVII da due ricchi fratelli veneto-cretesi, Geremia e Laurenzio Tzagaroli (da qui deriva l’altro nome con cui è conosciuto il monastero, Tzagarolon): leggenda vuole che i due fossero stati espulsi dal vicino Monastero di Gouvernetou a causa della loro origine latino-cattolico, mentre la storia racconta che i due furono incaricati di prendersi cura e finanziare di un monastero preesistente.

Per arrivare invece al Monastero di Gouvernetou (dedicato a Nostra Signora degli Angeli) bisogna invece proseguire lungo una strada dissestata e tutta tornanti, che si inerpica lungo le pendici settentrionali della penisola di Akrotiri: da qui la Creta patinata del mare e del sole non è mai sembrata più lontana. Qui ci sono arbusti spinosi, alberi contorti dal vento, grotte e capre sperse, e infine la struttura fortificata del monastero: a differenza di Agia Triada, a Gouvernetou la sensazione è quella di spostarsi in una dimensione più severa e ascetica. Non fosse altro che per la storia del monastero, costruito nel 1537 d.C. (è uno dei più antichi di Creta) dai monaci eremiti di Katholikon, quando quest’ultimo fu abbandonato: i turisti non sono troppo i benvenuti, quassù, le aree visitabili del monastero sono ridotte e limitate a orari e momenti particolari. Noi ci siamo capitati il 7 ottobre, in occasione delle celebrazioni per San Giovanni l’Eremita, alla cui predicazione si erano ispirati i monaci per fondare Katholikon, il monastero ascetico scavato nella roccia della gola di Avlaki, poco più avanti: nel tripudio di candele e incenso, di icone decorate di fiori e di dolcetti offerti, abbiamo vissuto sulla nostra pelle la spaccatura netta tra ciò che è per i turisti e ciò che è per i cretesi, tra ciò che può essere mercificato e ciò che deve restare sacro.

Il Monastero di Katholikon (il nome deriva dalla parola greca che significa “centrale”) si può invece raggiungere solo a piedi, prendendo un sentiero che da dietro il Gouvernetou scende nella gola: si incontra dapprima la Grotta dell’Orso (Arkoudospilos) con una minuscola chiesetta scavata nella roccia, e poi si giunge al vero e proprio complesso abbandonato. Che però del tutto abbandonato non è: soprattutto in occasione della festa del santo, sono numerosissimi i fedeli che affrontano la difficoltosa discesa per venire a pregare nelle grotte dei monaci, per accendere una candela e per meditare nel silenzio.

 

Resistenza e leggende

Bisogna invece spostarsi nella prefettura di Rethymno per trovare il monastero che è diventato il simbolo della resistenza cretese al dominio turco non solo a Creta e in Grecia ma anche all’estero: il Monastero di Arkadiou. Qui, nel 1886 si consumò uno degli eventi più tragici della ribellione cretese contro la supremazia ottomana: qui un gruppo di anziani, donne e bambini dopo tre giorni di resistenza preferì farsi esplodere con la polvere da sparo piuttosto che arrendersi. Il sacrificio di Arkadiou non fu decisivo per le sorti della rivolta, ma accese i riflettori di tutto il mondo sulla situazione cretese: oggi il monastero è meta turistica e di pellegrinaggio civile e la polveriera con il tetto scoperchiato non è stata ristrutturata, in memoria di chi vi perse la vita pur di non cedere agli oppressori.

Storie simili a quelle del Monastero di Prèveli (incendiato dagli ottomani prima e depredato per ritorsione dalle truppe naziste durante la Seconda Guerra Mondiale, per via dell’aiuto fornito dai cretesi alle truppe alleate) o a quelle del Monastero di Chrisoskalitissa, il “Monastero del Gradino d’Oro”, che secondo la leggenda fu salvato dai turchi grazie all’intervento di uno sciame di api: sempre leggenda vuole che solo i puri di cuore riescano a vedere il gradino d’oro nella scala che conduce al monastero.