Dal discorso della Luna di Giovanni XXIII ai saluti “familiari” di Papa Francesco: i Pontefici in tv

La giornalista Martina Luise compie una puntuale e precisa ricostruzione storica e cronologica riguardante il rapporto tra i Sommi Pontefici e il mezzo televisivo. Nel volume “I Papi di fronte alla telecamera. Da Pio XII a Papa Francesco” (Aracne Editrice 2019, Collana “Scienze teologico-religiose”, prefazione del cardinale Pietro Parolin, introduzione di Sergio Zavoli, postfazione di Raniero La Valle, pp. 272, 15,0 euro), l’autrice passa in rassegna oltre sessant’anni di storia della Santa Sede, a partire dal 1954, anno in cui arriva nel nostro Paese la televisione, attraverso un lungo percorso dell’informazione vaticana, che parte da Pio XII per arrivare fino a Papa Francesco.

Un interessante viaggio tra passato e presente, pieno di grandi eventi e di straordinari gesti compiuti dai Pontefici, intessuto da passaggi di cronaca e testimonianze di esperti e di professionisti della comunicazione. Ritroviamo, infatti, il celebre “discorso della Luna” di Roncalli, il Papa Buono, dell’ottobre del 1962 o le esequie di Papa Wojtyla dell’8 aprile 2005, trasformate, grazie alla televisione, in una cerimonia planetaria, che ha impegnato tutti i grandi network del mondo. Il 28 febbraio 2013 il volo in elicottero di Papa Ratzinger dalla Città del Vaticano alla volta di Castel Gandolfo, raccontato dal Centro Televisivo Vaticano con una suggestiva regia attraverso due elicotteri. Istanti memorabili, consegnati alla storia e che riguardano ciascuno di noi, credente o non credente. “Ma intanto un nuovo mezzo faceva il suo ingresso nel mondo della comunicazione, destinato a mutare profondamente l’universo mediatico e anche l’atteggiamento dei Papi e della Chiesa nei confronti della comunicazione. Arriva dunque la televisione”, scrive l’autrice che individua nella tv, a ragione, un nuovo, straordinario e universale pulpito messo a disposizione della Chiesa. Il volume è stato realizzato grazie al Dottor Marcello Gentile, fondatore dell’Ordine dei Santi Pietro e Paolo.

Abbiamo intervistato Martina Luise che nella sua carriera si è dedicata principalmente a temi religiosi e sociali e che vanta esperienze in testate di carta stampata, radiofoniche e televisive.

Nella prefazione al testo il Cardinale Parolin scrive che il primo Pontefice che si è confrontato con le immagini in movimento è stato addirittura Papa Leone XIII. Ce ne vuole parlare?

«Il cardinale ha citato il primo caso di un Pontefice ripreso da una cinepresa nei giardini Vaticani nel 1896. Si tratta probabilmente di una delle  pellicole più antiche esistenti in Italia. Il Cardinale Parolin ha sapientemente ricordato questo momento storico per introdurre l’argomento del mio libro che tratta del “rapporto” dei Pontefici con il mezzo televisivo. La televisione arriva in Italia nel 1954, in ritardo rispetto ad altri Paesi, e il primo Pontefice che la “incontra” è dunque Papa Pacelli, Pio XII. Ed ecco spiegato il motivo per cui il mio libro comincia con questo Pontificato. Nelle pagine si può leggere del “rapporto” che ciascun Pontefice ha avuto con questo nuovo mezzo di comunicazione, che associava la trasmissione del messaggio al video che dunque unisce parola e immagine. Il libro è ricco di testimonianze di illustri colleghi che hanno “vissuto” la storia di questi eventi e che mi regalano aneddoti inediti e sorprendenti. Come ad esempio il ricordo di uno dei giornalisti storici della televisione di Stato, il quale ricorda un cameraman che spiegava a Giovanni XVII come quando la telecamera lo riprendesse, in cima ad essa apparisse una lucina rossa e che se lui avesse guardato quella lucina avrebbe guardato negli occhi i telespettatori. La chiusa di questo ricordo è molto bella, perché si dice nell’intervista, che da quel momento sembrò che il Papa Buono cercasse quella lucina rossa per parlare con chi era fisicamente lontano. Ed ancora un altro aneddoto di quando Paolo VI si congratulò con un illustre collega, sempre della Rai, per un ottimo servizio che lo riguardava, specificando che però non era stato testimone diretto, in quanto non voleva vedersi ripreso in televisione e il motivo è molto nobile, come emerge chiaramente leggendo il passo nel testo. Ci sono inoltre molti altri aneddoti inediti che riguardano i Pontefici citati, ma anche coloro che in ordine di tempo, li hanno seguiti».

Se Pio XII grazie al mezzo televisivo abbatteva le frontiere dei tempi e degli spazi, con Giovanni XXIII la Chiesa abbatteva un’altra frontiera, raggiungendo attraverso il teleschermo il cuore delle persone. Che cosa ne pensa?

«Certamente con Pio XII, infatti, la televisione permetteva al messaggio del Papa, assieme alla sua immagine, di giungere anche a chi non era fisicamente presente in quel momento e con Giovanni XXIII la Chiesa con la tv abbatteva un’altra frontiera e raggiunge, attraverso il teleschermo, il cuore delle persone e le coinvolge nel profondo sino alla commozione. E così fu ad esempio per il toccante discorso alla luna o per il discorso ai carcerati. Davanti ai teleschermi molti avranno rigato i visi con lacrime di commozione. E poi con Paolo VI la Chiesa abbatte ancora un’altra frontiera tramite l’utilizzo della tv. Difatti, tutte le visite pastorali che il Papa fa possono essere viste e partecipate dai telespettatori, e così anche i viaggi che fanno scoprire realtà e posti mai potuti vedere prima, come ad esempio la visita in Terra Santa. Giovanni Paolo II poi sapientemente rende possibile l’abbattimento di molte frontiere, anche grazie a “un’alleanza” sempre più stretta con la televisione. Egli abbatte muri fisici e non. Dei primi fa parte la storica caduta del muro di Berlino, dei secondi il grande slancio ecumenico raccontato anche dagli incontri di Assisi. E con Giovanni Paolo II il messaggio che passa dai televisori domestici, oramai presenti in tutte le case, abbatte anche la frontiera generazionale e avvicina le fasce più giovani dell’umanità, coinvolgendole in un abbraccio di gioia. Raggiunti questi grandi risultati e abbattute molte frontiere con Papa Ratzinger si trova ancora il modo di scavalcarne una fondamentale quella del rapporto con la storia e con le radici. Difatti, Papa Benedetto XVI riporta la liturgia alla lingua latina, una lingua che si dice morta, ma che fa riappropriare la nostra cultura religiosa della sua tradizione. E arriviamo, così a Papa Francesco, il quale da subito riesce, anche tramite il veicolo della informazione televisiva ricca di suggestioni dovute al connubio tra parola ed immagine, ad abbattere più di una frontiera. Egli si presenta al mondo dicendo che i Cardinali hanno scelto il nuovo Vescovo di Roma prendendolo alla “fine del mondo”. Ciò significa che egli sostiene di venire dalla periferia del mondo e da qui la grande attenzione per i “periferici”, gli emarginati, i deboli e i poveri. Inoltre, dire in qualche modo di provenire dalla fine del mondo, significa che esso fa parte del centro della Chiesa Universale e che il centro della Chiesa è il mondo. E poi Papa Francesco, nei sui primi giorni da Pontefice, non si è mai definito Papa ma sempre Vescovo di Roma, cosa che ha fatto indubbiamente bene ai rapporti con le confessioni e le religioni, che non hanno mai avuto una particolare predisposizione verso la figura del Sommo Pontefice. E infatti, questa sua semplicità e umiltà veicolata dalla televisione ha aperto frontiere con mondi religiosi dubbiosi, consentendo di veder volti poco avvezzi agli ambienti vaticani portare il loro saluto al nuovo Papa. Sin qui la Chiesa ha saputo strutturare con la televisione un rapporto esemplare».

Ottobre 1978-Aprile 2005. In tutti i suoi ventisette anni di pontificato, San Giovanni Paolo II non ha mai dimenticato l’importanza della forza delle immagini, scegliendo di morire ogni giorno, davanti agli occhi di tutti, per testimoniare la sofferenza come forma estrema di evangelizzazione?

«San Giovanni Paolo II ha vissuto, se posso permettermi, tutta la sua vita nel Vangelo e per il Vangelo. Questo che ci fosse o meno la televisione. È indubbio, e nelle pagine del mio libro è espresso in maniera forte e chiara, come egli avesse un carisma tale che la televisione non poteva far a meno di veicolare. Egli aveva con il mezzo televisivo una sorta di “alleanza”, era ben consapevole dell’importanza di questo mezzo. E lo era sia negli anni della forza e salute fisica sia in quelli della malattia. Ed era consapevole anche di quanti si sentivano veramente legati alla sua immagine come figli all’immagine del proprio padre. E nel momento della malattia e della sofferenza non si è sottratto e ha continuato a donarci la sua immagine, qualche volta priva della parola, perché sapeva che ne avevamo bisogno. Sì, un modo di evangelizzare. L’anima dello spettatore soffriva nel vederlo soffrire ma al contempo gioiva, perché lui si donava ancora a noi spettatori».

Qual è stato il rapporto di Benedetto XVI, il Papa teologo, con la telecamera?

«Papa Benedetto è stato eletto al Soglio Pontificio dopo il lungo e radioso pontificato di Giovanni Paolo II fatto di gesti forti, che rimanevano e rimangono nel cuore e negli occhi. Lui non di meno è stato un grande comunicatore. Non è possibile fare paragoni tra un Pontefice e il successivo, perché necessariamente sono persone diverse e diverso è anche il tempo in cui regnano. Sicuramente la volontà di apertura alla comunicazione è stata la medesima. Differente è stato il modo. Perché Papa Benedetto XVI è stato il Papa delle Omelie, le grandi omelie che incantavano lo spettatore. Egli probabilmente ha vissuto il mezzo televisivo come una realtà esistente, che “serviva” per amplificare, in termini di tempo e di spazio, il messaggio evangelico. Però dobbiamo considerare che è stato il primo Pontefice ad avere accettato di entrare a far parte di un “format” televisivo. Infatti con il suo intervento dalla sua scrivania in Vaticano, ripreso dal CTV, egli rispondeva alle domande di persone del mondo, nella trasmissione “A Sua Immagine” di Rai 1. Un’apertura questa che deve far riflettere».

L’ elezione di Papa Francesco al soglio di Pietro ha rappresentato un evento mediaticamente sorprendente fin da subito, iniziando dal nome scelto da Bergoglio, il simbolo del suo pontificato considerato da molti rivoluzionario. Concorda?

«Papa Francesco è eccezionale anche come comunicatore. Egli è, infatti, capace di parlare alle persone con un linguaggio di facile comprensione ma anche di impatto forte. Quei suoi saluti: “Buon giorno” e “Buon appetito”, non vanno sottovalutati, perché le persone li apprezzano veramente, sanno che sta parlando proprio a loro, che fanno i conti con le loro difficoltà quotidiane. È sempre pronto a un abbraccio e a un sorriso. Questo colpisce molto, colpisce nel profondo. Il nome che ha scelto delinea perfettamente quello che Egli è, va all’essenziale, al veramente importante e non al superficiale. È un mondo caotico e distratto il nostro ma il suo messaggio è forte e penetra nei cuori e nelle coscienze. Il richiamo al Presepe ad esempio è di fondamentale importanza, c’è racchiuso tutto il senso della nostra fede, la nostra speranza è racchiusa in questa Nascita, Abbracciamo con cuore sincero le parole del Santo Padre, perché ci fanno bene. Papa Francesco viene ripreso dalla televisione, che trasmette l’importanza e la profondità di ciò che Egli ci dice. Ed è da analizzare in questa ottica anche la riforma dei media vaticani. Egli persegue con essa, infatti, la Sua idea di una Chiesa che cammini con il mondo e che non resti estranea al mondo. Questo nel mio libro è molto ben spiegato dal Prefetto del Dicastero per la comunicazione Vaticana, Paolo Ruffini».