Cosa significa farsi prossimi: “Tese la mano e lo toccò” di Marie Laure Veyron

Torna la rubrica quindicinale di consigli di lettura dalla Biblioteca diocesana del Seminario Giovanni XXIII. Questa settimana proponiamo una recensione del saggio “Tese la mano e lo toccò” di Marie Laure Veyron (Qiqajon Edizioni).

Mt 8,1-3: In quel tempo1 Gesù scese dal monte e molta folla lo seguì. 2Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». 3Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita.

Gesù ha appena terminato di parlare alle folle che, stupite, continuano a seguirlo. Ed ecco avvicinarsi a lui un lebbroso. La lebbra era un male che rendeva la persona impura e per questo esclusa dal tempio, dalla società, dalla vita stessa: colui che era ne affetto doveva segnalare da lontano la sua presenza perché nessuno lo toccasse né lo accogliesse, pena il contagio e la medesima impurità fisica e morale. Nonostante questo, quel lebbroso non si arrende, non vuole rimanere chiuso nel suo stato di isolamento e di morte, ma va incontro a Gesù mostrando il suo desiderio di vita. Si prostra davanti a lui e si rimette alla sua libertà: “Se vuoi, tu puoi sanarmi”. E Gesù è pronto a fare esattamente ciò che prima aveva detto a parole alle folle: comunica l’amore del Padre, tende la mano, tocca il lebbroso e lo purifica, lo guarisce.

Proprio da questo passo evangelico, Tese la mano e lo toccò, prende il titolo il saggio della scrittrice francese Marie-Laure Veyron, incentrato proprio sul verbo “toccare”.

Il tatto, uno dei nostri cinque sensi primordiali, che esprime prossimità e reciprocità, viene sottoposto dall’autrice a una suggestiva analisi semantica e narrativa col contributo anche della psicanalisi, per mostrarne tutte le variazioni e implicazioni.

Gesù tocca e si lascia toccare. E questo ‘toccare’ narrato nei Vangeli non è sempre uguale; c’è un toccare taumaturgico il corpo per guarirlo, c’è un toccare per benedire, c’è il contatto compassionevole, la carezza, capace di esprimere affetto, c’è a volte il sostegno della parola che arricchisce o chiarisce i significati di tale gesto.

E’ un ‘toccare’ sempre suscitato e pervaso da un desiderio profondo di relazione, mai da una volontà di accappararsi l’altro.

E per ‘toccare’ veramente, per farsi prossimi, per farsi vicini, è necessario vedere e sentire, e non solo ciò che è visibile, ma anche quell’invisibile desiderio di vita nascosto in ogni persona.

Vedere, sentire, e così toccare e lasciarsi toccare.

Gesù stesso non solo tocca, ma si lascia toccare molte volte dalle folle, dalle donne in particolare, dai singoli, mostrandosi così capace di ‘sentire’, di rendersi vulnerabile al dolore altrui. In ogni incontro avrebbe potuto restare a quella giusta distanza prescritta dalla legge, ma lui non si preoccupa di trasgredire le regole di impurità o il codice di comportamento sociale: in ogni incontro è soggetto o oggetto mai passivo bensì incarnato.

Gesù è per eccellenza questo ‘essere di tatto’ la cui acutezza lo rende così recettivo alla sofferenza altrui. Si noti in Gesù che quella di taumaturgo, o di guaritore, non sembra un’attività a parte rispetto alle altre. Gesù insegna, nutre, guarisce, ma insegnando o nutrendo le folle – di pane e di Parola – egli le guarisce anche. Il suo stesso essere al mondo, il suo farsi presente agli uomini e alle donne che incontra è fonte di guarigione, è buona notizia” (M.-L. Veyron).

Silvia Piazzalunga

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