L’Ulisse di Paolini preferisce la durezza del cammino alle lusinghe dello «chalet Olimpo»

Ci sono storie che non ci si stanca mai di ascoltare e che dicono ogni volta qualcosa di diverso, creando un contatto con una zona profonda di noi, dove si nasconde la nostra “sostanza”, attraversando come vento e luce la nostra anima. Questa magia si rinnova con i versi di Omero che Marco Paolini ha tagliato e incollato a modo suo per raccontarli di nuovo nel suo spettacolo “Nel tempo degli dei. Il calzolaio di Ulisse”, a ritmo di musica, come gli antichi cantastorie intorno al focolare. Sabato sera ha affascinato il pubblico che ha affollato il Teatro Creberg di Bergamo e alla fine l’ha ringraziato con diversi minuti di applausi.

Sostenuto dalla regia sapiente e leggera di Gabriele Vacis, Paolini ha portato le gesta di Ulisse ai nostri giorni, rileggendole in chiave simbolica, con uno schema chiarissimo fin dalla scelta del cast: ci sono il confronto tra generazioni diverse, l’incontro tra popoli lontani, le mille sirene della rete, il caos della politica. In scena accanto a lui c’è Vittorio Cerroni, 17 anni, studente liceale di Padova, nei panni di un giovane pastore (ma è un travestimento del dio Hermes). E poi Saba Anglana, cantante, attrice e scrittrice di origine somala, con una voce calda e profonda, plastica, capace di essere, a seconda delle situazioni, squillante, sensuale o drammatica. C’è Elia Tapognani nella parte del figlio di Ulisse, Telemaco, e poi i musicisti Lorenzo Monguzzi (il cantastorie) ed Elisabetta Bosio (Atena).

Ulisse-Paolini è in esilio volontario dopo aver massacrato al suo ritorno a Itaca i giovani principi che avevano occupato la sua casa e tormentavano Penelope, per volontà degli dei. Cerca una strada che sia solo sua, non determinata da altri – dagli dei capricciosi e sanguinari della mitologia greca, che incarnano le debolezze e le intemperanze umane -. Una strada libera dalle “sirene” dell’immortalità, del denaro, del potere, della fama, tentazioni che in ogni tempo inducono gli uomini a compiere scelte sbagliate, a mettersi su strade false, a tradire i valori in cui credono.

Un uomo anziano che rilegge la sua storia con realismo e concretezza. Burbero e astuto, rozzo solo in apparenza, Ulisse traccia un sentiero nello spettatore, lo spinge a guardarsi allo specchio e a chiedersi a sua volta che cosa vuole fare della sua vita: banchettare allo chalet Olimpo, dimenticandosi cosa significa essere uomo, oppure fare spazio alle voci delle tante popolazioni senza terra che continuano ad attraversare confini, Paesi, continenti spinte dalla guerra, dalla fame, dalla ricerca di un futuro migliore. Non è un caso se in scena e giù dal palco cadono le stesse coperte termiche dorate che indossano i naufraghi raccolti dai barconi. Il cammino teatrale di Paolini continua ad essere coraggioso e “resistente”.