“Mediterraneo frontiera di pace” è l’incontro voluto dal Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, mutuato dal “sogno” del sindaco santo di Firenze, Giorgio La Pira, dei “Dialoghi mediterranei”. All’appuntamento saranno riuniti a Bari, dal 19 al 23 febbraio, i vescovi di 20 Paesi bagnati dal “Mare Nostrum”. Il summit vedrà anche la presenza di Papa Francesco, che chiuderà l’incontro con una Messa celebrata alle 10,45 di domenica 23.
“Si tratta di un’assise unica nel suo genere, promossa dalla Chiesa italiana; un incontro basato sull’ascolto e sul discernimento comunitario; soprattutto, un incontro che, valorizzando il metodo sinodale, si prefigge di compiere un piccolo passo verso la promozione di una cultura del dialogo e verso la costruzione della pace in Europa e in tutto il bacino del Mare Nostrum”, ha dichiarato il Cardinale Bassetti.
Ecco dunque come appare sempre più forte l’esigenza di incontro e di scambio sull’unico mare sul quale si affacciano e si congiungono tre continenti, così come quella che il Mediterraneo sia luogo di pace, e non luogo di tensione e di scontri.
Questo incontro di riflessione e spiritualità prevede la partecipazione di vescovi provenienti da tre continenti: Europa, Asia e Africa; è nato per discutere e riflettere su prospettive e problematiche di un’area geografica diventata, con il problema migratorio, simile a un cimitero a cielo aperto. Ne parliamo con S. E. R. Monsignor Antonino Raspanti, Vescovo della Diocesi di Acireale, vice presidente della CEI e coordinatore del Comitato organizzativo.
Monsignor Raspanti, il summit pugliese è stato ideato anche per rafforzare un processo organico di scambio e aiuto tra le Chiese?
«Sì, in realtà essendo un incontro fraterno, il primo scopo è quello della conoscenza, perché questo – almeno per noi – è il primo tipo di incontro tra episcopati che appartengono a tre continenti diversi. Il nostro scopo è quello di creare maggiori legami tra le Chiese, che si affacciano su questi venti Paesi. È possibile che, conoscendo anche criticità e ricchezze da una parte e dall’altra, Est, Ovest, Nord e Sud, si possano creare non solo maggiori legami ma sinergie, che danno forza ai punti più deboli o a quelli di maggiore interesse o a quelli su cui si vuole puntare di più. La cosa importante è avviarci lentamente su una lettura e un’interpretazione abbastanza comune delle grandi problematiche che stiamo vivendo, sia quelle interne alle comunità ecclesiali sia quelle che le comunità ecclesiali incontrano quando interagiscono con le altre comunità religiose nei Paesi dove si trovano, o con lo Stato o con la società nei Paesi in cui vivono».
Quale contributo possono offrire le diverse religioni per la causa della pace, in una fase storica come quella che stiamo vivendo, in cui esse vengono strumentalizzate dalle turbolenze politiche e sociali?
«Questa è la domanda a cui tenteremo di rispondere. Speriamo che possiamo dare un contributo. Naturalmente non ci illudiamo di poter risolvere i problemi nel Mediterraneo anche perché le dinamiche in gioco sono molto grandi e spesso travalicano i confini dello stesso Mediterraneo. I problemi sono molto più grandi di noi, però finché le singole Chiese rimangono piccole nel proprio ambito, anche nazionale, siamo ancora più deboli e la nostra voce è poco efficace. Se invece cominciamo a valutare insieme le cose e ad essere noi stessi “lievito”, perché per noi le guerre, le ingiustizie e le violenze hanno un’unica radice ed è il cuore dell’uomo. Gli squilibri che albergano nel cuore dell’uomo a partire da se stesso e dal rapporto burrascoso che ha con Dio, con gli altri e così via. Se il Vangelo è annuncio di salvezza e realizzazione in Cristo di questa salvezza, significa che un cristiano redento da questa salvezza, è già lui “lievito” di pacificazione, perdono, fraternità e amicizia. E in quanto “lievito” può diffondere nelle città in cui si trova, nei Paesi in cui vive, può diventare “lievito” di perdono, di conciliazione, di superamento di conflitti, di dialogo attraverso cui questi conflitti si possono superare. Per quanto riteniamo che il processo sia lungo, è necessario intraprenderlo e trovare i modi per intraprenderlo».
Albert Camus, Premio Nobel per la Letteratura 1957, nel libro “La peste” (1947) raccontava di una epidemia che potrebbe essere considerata metafora della “peste marrone”, il nazismo. In questo inizio di XXI Secolo la nuova “peste”, è quella del ripiegamento su se stessi e del rifiuto dell’altro?
«Come dimostrano oggi i conflitti in atto c’è una incontrollata corsa al potere e al dominio. I conflitti si stanno scatenando, perché gli equilibri di forza di dieci anni fa sono saltati e gli squilibri che si sono creati, una grossa parte la giocano le ricchezze e la volontà di appropriarsene. Ecco allora la corsa alle fonti energetiche ed è tutto un armarsi e uno scontrarsi. È questa una corsa pestifera, perché nel momento in cui uno corre trasmette in maniera virale questa corsa agli armamenti, vediamo quello che sta accadendo in Libia, in Siria, nel passato pensiamo alla Penisola Balcanica. Purtroppo la violenza si propaga in maniera virale. Per bloccare questa corsa pestifera occorre una grande strategia di riconciliazione e di perdono. È una via lunga, dolorosa, costellata di vittime innocenti, non solo di martiri».
Lo storico “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dallo sceicco Ahmad al-Tayyib il 4 febbraio 2019 ha fatto comprendere, tra l’altro, come il concetto di “fratellanza” porti a riflettere su quello di “cittadinanza”, con il significato di uguali diritti e doveri per tutte le persone. Il summit è un invito a vedere nel Mediterraneo un possibile laboratorio di fratellanza e cittadinanza?
«Sì, quel prezioso documento lo metteremo al centro del tavolo, perché la grande intuizione del Santo Padre e dello sceicco Ahmad al-Tayyib è stata quella di aver focalizzato la questione della fraternità non solo sul piano religioso. Non solo tutti figli di Dio ma anche cittadini di Stati, quindi soggetti di diritti e di doveri, chiamati a un rispetto reciproco. Stiamo parlando del principio del diritto che è fondamentale, perché è anche quello della ragione. Si è coniugato un principio che finora si declinava soltanto sul piano della religione, lo si è declinato anche sul piano della ragione umana, del diritto dei popoli. Da questo punto di vista quasi più laicamente è importante per invitare tutti a sedersi attorno a un tavolo e appunto a usare la ragione e deporre la forza bruta della violenza».
Il Santo Padre sarà presente a Bari domenica 23 febbraio. Quello del Mediterraneo è un tema molto caro a Bergoglio, ripensando anche alla storica visita dell’8 luglio 2013 a Lampedusa, la prima fuori Roma, quando il Pontefice si scagliò contro la “Globalizzazione dell’indifferenza”?
«Esatto. Quando il Cardinale Bassetti parlò dell’idea dell’incontro a Papa Francesco, il Pontefice benedisse subito l’iniziativa. La pace sta molto a cuore al Santo Padre e con la Sua presenza, Papa Francesco in qualche modo sigilla l’idea che costruire un Mediterraneo più pacificato fa bene al Pianeta. Quello che si elabora in questo mare, in realtà si estende all’interno di quelle terre che lì vi si affacciano irradiandosi a tutta l’Europa, l’Asia e l’Africa. Come se quelle terre fossero le propaggini di questo Mare Nostrum».