La scuola italiana è vecchia. Va cambiata. Profondamente

I Licei sono i preferiti dagli studenti italiani

I dati forniti dal Ministero della Pubblica Istruzione sulle iscrizioni alla Scuola secondaria di secondo grado – vulgo Istituti superiori – per l’anno 2020 documentano che da ormai sette anni i Licei continuano a detenere il primato. Nel 2014 avevano superato gli Istituti tecnici e professionali. Quest’anno hanno scelto i Licei il 56,3% degli studenti (contro il 55,4% dell’anno scorso). Scendono leggermente i Tecnici (30,8% contro il 31% dello scorso anno), mentre i Professionali scendono ancora dal 13,6% al 12,9%. Il Lazio si conferma la regione con la maggiore percentuale di iscritti ai Licei: 68,9%. Seguono Abruzzo (62%), Campania (61%), Umbria (60,4%), Molise e Sardegna (entrambe al 60%). Il Veneto è la regione con il più alto interesse per gli Istituti tecnici (38,7%). Seguono Emilia-Romagna (37,2%) e Friuli Venezia-Giulia (37%). La più alta percentuale di iscritti ai Professionali è in Emilia-Romagna (15,5%), seguita da Basilicata (15%) e, a pari merito, Toscana e Campania (14,5%).

Nei Licei avanza il Liceo scientifico, senza latino. Quali sono le motivazioni per tali scelte?

Licei. Istituti tecnici, Istituti professionali

Si comprendono, se si richiama brevemente la struttura dell’offerta del sistema italiano di istruzione. Sotto la parola “Liceo” stanno indirizzi molto diversi: il Liceo classico, tradizionalmente la scuola per le classi dirigenti; il Liceo scientifico, articolato per tre sotto-indirizzi – con il Latino, con Scienze applicate, senza Latino, sportivo; il Liceo linguistico; il Liceo artistico – con sotto-indirizzi quali arti figurative; architettura e ambiente; design; audiovisivo e multimediale; grafica; scenografia; il Liceo musicale e coreutico; il Liceo delle scienze umane – con indirizzo in materie umanistiche, quali l’antropologia e la sociologia, o economico-sociale.

Quanto agli Istituti tecnici, che durano cinque anni come i Licei, suddivisi in due bienni e un ultimo anno, si suddividono in due rami: quello economico  – Amministrazione, finanza e marketing  e Turismo – e quello tecnologico, con ben nove indirizzi, che vanno dalla meccatronica, all’Elettronica, alle Telecomunicazioni, alla Chimica alla Moda…

Il terzo settore dell’offerta di istruzione è quello degli Istituti professionali, due bienni più un anno finale, articolati in ben undici indirizzi: Enogastronomia, Agricoltura, Pesca, Servi commerciali, Servizi culturali, professioni sanitarie, servizi alla persona ecc…

Perché si preferiscono i Licei

Perché, dunque, la preferenza ai Licei? Per un verso, il Liceo continua a funzionare come mito di riferimento, perché segnale e simbolo di ascesa sociale. Tradizionalmente, d’altronde, i Licei sono immaginati come detentori di un’offerta culturale più alta. In realtà, come si è visto, sotto la parola magica “Liceo” fioriscono tipi diversi di Liceo. Così, le preferenze per il Liceo classico sono assai più basse, attorno al 5%, rispetto a quelle degli altri Licei. La ragione? Il Latino e, soprattutto, il Greco sono ostici, richiedono sforzi logici e mnemonici. Ma la verità è più semplice e più brutale: i nostri ragazzi – e loro genitori? – non vogliono fare fatica. Il Liceo si presenta molto più facile degli indirizzi Tecnici, poiché dà scarso o nullo spazio alle cosiddette materie STEM (Science, Thecnology, Engineering, Mathematics).

Eppure, gli sbocchi professionali, una volta che hai il Diploma liceale in mano, non sono affatto copiosi. Perciò, immediatamente, il diplomato è “costretto” a iscriversi all’Università, in indirizzi di studi quali Filosofia, Psicologia, Storia, Scienze politiche, Sociologia, Scienze della Comunicazione… al termine dei quali, di nuovo, gli sbocchi professionali coerenti con gli studi sono relativamente scarsi. Uno si laurea in Filosofia o in Scienze politiche o in Scienze della Comunicazione e poi si trova a fare il commesso in un negozio, professione per la quale basta la Terza media.

Il calo di iscrizioni agli Istituti tecnici e quello, più massiccio, agli Istituti professionali nasce, in primo luogo, dal rifiuto delle materie STEM, perché troppo impegnative. Eppure esse offrono certamente sbocchi lavorativi immediati e indirizzi universitari, alla fine dei quali si aprono prospettive occupazionali molto qualificate e ben retribuite. Ma il rifiuto nasce anche dalla domanda di qualificazione culturale, che questi indirizzi non garantiscono affatto.

Così, mentre a chi aspira alle “Humanities” è difficile fornire una professione all’altezza, a chi punta sulle STEM viene a mancare un orizzonte storico-culturale più ampio e necessario per stare nel mondo oggi.

Uno schema scolastico ottocentesco. Da rivedere a fondo

Il difetto sta nel manico: sta nella partizione schizofrenica dell’offerta da parte del sistema di istruzione, modellata sul tempo storico-sociale dell’800 e mai radicalmente riformata. Il sistema di istruzione napoleonico del 1802, quello prussiano di Wilhelm von Humboldt del 1810, quello di Gabrio Casati del 1859, ripreso da Giovanni Gentile nel 1923, conferisce al Liceo – Gymnasium in Prussia – una centralità assoluta. Il fine dichiarato è quello di formare una classe dirigente politica, amministrativa e militare, che è già tale per irrevocabile destino socio-familiare ereditario. A tutti gli altri, lungo i gradini della scala sociale che scende verso il basso, il sistema offre la scuola di base – in Prussia dal 1763! – e le scuole tecniche e professionali. Servono a formare soldati, operai, quadri militari e tecnici, ingegneri…

La partizione tra “Humanities” e “STEM” riflette una società divisa rigidamente in classi. Si tratta di un altro mondo rispetto al nostro.

Occorre, dunque, modificare radicalmente l’offerta. Filosofia, teologia, arte, scienza, matematica e tecnologia sono arrivate fino a noi dall’antichità classica e cristiana legate da nessi organici e consequenziali. L’uomo che si pone la domanda cruciale “perché l’essere piuttosto che il nulla?” è lo stesso che attraverso la poiesis tecnica modella il mondo, lo stesso che traduce la realtà in numeri. La Tecnica è nata dall’approccio metafisico alla Realtà. Di ciò si sono variamente lamentati tanto Martin Heidegger quanto Emanuele Severino. Ma il fatto si dà! Ne consegue che offrire ai nostri ragazzi un lascito fratturato – da una parte la cultura umanistica, dall’altra quella tecno-scientifica – è un errore di civiltà. A maggior ragione nell’epoca dell’Infosfera, della “Noosfera” – per dirla con Teilhard de Chardin – del “Capitale semantico”, secondo l’espressione di Luciano Floridi. Già Elio Vittorini, che fu sconfitto nel 1945-46 nella sua battaglia contro il gentilianesimo di Concetto Marchesi e di Togliatti, parlava di “cultura politecnica”.

Come si risolve, in termini di programmi di studio e di conseguente ordinamento scolastico? Il Parlamento europeo e l’Unione europea hanno già definito dal 2000 le competenze-chiave: Lingua e lingue, Storia, matematica, Scienze. Ciò implica che ogni ragazzo ha il diritto-dovere di accedere all’eredità del pensiero classico, giudaico e cristiano, attraverso i testi, ha il diritto-dovere di conoscere le linee fondamentali della storia della nostra civilizzazione, cui appartengono anche le materie-STEM. E’ necessaria la conoscenza del Greco e del Latino – ma, fino al ‘700 anche dell’Ebraico – per la lettura dei testi classici? No. bastano delle buone traduzioni! Se finora il sistema scolastico italiano non ha sanato la frattura tra Humanities e STEM, ciò si deve alle strenue resistenze ottocentesche degli insegnanti, dei loro sindacati, delle Università, alle quali la politica ha fornito complicità, copertura e rappresentanza. Quella frattura lascia i nostri ragazzi alla mercé delle tempeste culturali della globalizzazione.