Il Vaticano nella tormenta: il piano di Hitler per rapire Pio XII durante l’occupazione nazista a Roma

Nel volume “Il Vaticano nella tormenta. 1940.1944. La prospettiva inedita dell’Archivio della Gendarmeria Pontificia” (Edizioni San Paolo 2020, Collana “Attualità e Storia”, Prefazione di Andrea Riccardi, pp. 368, 25,00 euro) l’autore Cesare Catananti, medico, già direttore generale del Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma e docente di Storia della Medicina, ricostruisce il piano di Hitler, che voleva invadere il Vaticano e rapire Papa Pio XII durante l’occupazione nazista a Roma nel pieno della II Guerra Mondiale.

Grazie ai materiali reperiti nell’archivio della Gendarmeria Pontificia, che Catananti ha potuto consultare in via del tutto eccezionale, e dopo anni di ricerche, l’autore ha scoperto che in una Roma dichiarata “città aperta” e assediata dai soldati tedeschi, piena di informatori, spie e doppiogiochisti, c’era un protagonista assoluto, che si muoveva dietro le quinte. Quell’uomo era Giovanni Battista Montini, Sostituto della Segreteria di Stato e futuro Papa Paolo VI.

San Paolo VI riuscì a sventare l’invasione del territorio di appena 44 ettari della Città del Vaticano e persino il rapimento di Papa Pacelli nel cuore della “tormenta”, protetto dalle fragili mura vaticane. Il testo, dunque, è “un’indagine sul piccolo e tor­mentato ambiente in cui si collocano l’esercizio del Ministero del Papa e l’opera dei suoi collaboratori in situazione di guerra”, come sottolinea Andrea Riccardi nella Prefazione.

Del ruolo di Montini, dei nove mesi di occupazione nazista nell’Urbe e dell’atmosfera che si respirava a Roma in quegli anni cruciali ne parliamo con Cesare Catananti.

Prof Catananti, quello che racconta nel Suo saggio può assomigliare a una “spy story”, che ha al centro il futuro Paolo VI allora sostituto della Segreteria di Stato? 

«Direi proprio di sì. Ma quanto avvenne in quegli anni, della “tormenta” appunto, non è fiction. È storia. Il Vaticano era veramente un covo di spie. Tutti spiavano tutti. Va ricordato che con l’entrata in guerra dell’Italia, il governo fascista obbligò i diplomatici dei paesi accreditati presso la Santa Sede e in guerra con l’Asse a lasciare l’Italia. Troppo forte e concreto il rischio che potessero svolgere attività di intelligence. E così il Vaticano, Stato neutrale, fu obbligato ad accoglierli dentro le Sacre Mura. E dall’Ospizio di Santa Marta, dove furono ospitati, le attività di spionaggio, svolte soprattutto dalla legazione inglese, non mancarono. Mussolini conscio di questo rischio aveva riempito il Vaticano di informatori. Ed in particolare controllava Mons. Montini di cui sapeva bene le  posizioni filo alleate. Montini dovette, inoltre, combattere non pochi oppositori di Curia, tra cui il cardinale Canali, Presidente del Governatorato e da cui dipendeva  la Gendarmeria. A un certo momento la situazione divenne talmente insostenibile, che fu soppresso un settore della Gendarmeria, accusato di deviazione, e sostituito il Comandante. Ovviamente c’era Montini dietro a questo “repulisti”».

 “Il Vaticano nella tormenta” nasce da alcuni spunti emersi nel corso di una Sua ricerca sulla Storia della Gendarmeria Vaticana (1). Per l’occasione le Autorità della Santa Sede avevano consentito, in via eccezionale, l’accesso all’Archivio storico del Corpo. “Ed è stata una scoperta incredibile”. Ce ne vuole brevemente parlare?

«“Il Vaticano nella tormenta” nasce da alcuni spunti emersi nel corso di una ricerca sulla Storia della Gendarmeria Vaticana. Per l’occasione le Autorità della Santa Sede avevano consentito, in via eccezionale, l’accesso all’Archivio storico del Corpo. Archivio mai aperto agli studiosi e di cui  in pochi ne conoscevano addirittura l’esistenza ma, comunque,  nessuno  sino ad oggi, vi aveva rivolto lo sguardo, almeno con l’interesse dello storico. Particolarmente interessante era la documentazione su alcune vicende della Seconda Guerra mondiale. Convinti, allora, che quei dossiers non meritassero la polvere e l’oblio si è deciso di riprenderli, approfondirli,  ampliando  la ricerca ad altre fonti archivistiche, italiane e straniere. Credo si sia riusciti, così, a dare ai  “fatti” noti e meno noti colore e vita nuova e, soprattutto, a emendare alcune inesattezze, che negli anni si  erano storiograficamente consolidate».

Quali erano i rapporti tra il regime fascista di Mussolini e il Vaticano?

«Pessimi. Si fu più volte sul punto di rottura, in particolare  con Pio XI. L’enciclica  “Non abbiamo bisogno” è lapidaria su questo. Per Pio XII le cose furono più complicate. Si era in guerra e il Vaticano, non dimentichiamolo, era (ed è) un’enclave entro Roma e quindi dipendente per i servizi essenziali dall’Italia. E, pertanto sotto costante ricatto. Dopo l’8 settembre addirittura circondata dal III Reich!. Ma, nonostante ciò, l’azione della Santa Sede fu incredibile. Le attività di aiuto e soccorso a tutti, e nei modi più svariati, sono un incontrovertibile dato di fatto. E non si trattò solo di aprire Chiese, Seminari, Monasteri e la stessa residenza di Castel Gandolfo, per dare asilo  a quanti ne avessero bisogno. Ci fu molto di più. La Segreteria di Stato, infatti, svolse un’incredibile attività diplomatica e operativa quanto masi efficace nella guerra al nazifascismo. La Santa Sede, in altre parole, pur assediata, non rinunciò mai alla sua libertà di pensiero e di azione».

Per quale motivo Hitler odiava la Chiesa cattolica?

«Visioni del mondo totalmente opposte e inconciliabili. Hitler non accettava l’esistenza di una Istituzione, la Chiesa cattolica, indipendente dal Governo. Era qualcosa di incompatibile con la dottrina nazista. Il cui sogno era un ritorno al paganesimo dei primi Dei tribali. Ed è proprio su questo presupposto che si basa  la Kirchenkampf, la lotta appunto alla Chiesa».

Nel volume scopriamo che Hitler intendeva rapire Pio XII, ma il Führer dove avrebbe voluto trasferire Papa Pacelli?

«Delle volontà di Hitler di invadere il Vaticano e sequestrare il Papa se ne parlava già dal 1941. Voci che circolavano in molti ambienti. Voci che, però, prendono forma dopo la caduta di Mussolini nel luglio del “43. Goebbels nel duo diario alla data del 27 luglio riferisce di un incontro con un Hitler totalmente fuori di sé. Accusa apertamente il Vaticano di avere complottato contro il Duce, esclamando che il Re e Badoglio andrebbero arrestati e portati in Germania. Con analogo trattamento per il Vaticano. Solo un momento di rabbia? No. Se si prendono per buone le dichiarazioni giurate di Karl Wolff, capo delle SS in Italia, che afferma di avere avuto un diretto incarico da Hitler di predisporre un piano operativo per deportare il Papa o in Germania o nel Liechtenstein. E una prova indiretta di questo progetto è il piano di difesa che la Gendarmeria aveva predisposto per quell’evenienza. Un’acquisizione documentaria assolutamente nuova e sino ad oggi sconosciuta. A testimonianza di quanto quel rischio fosse considerato come reale».

Mentre il Vaticano con il suo Papa Re Pacelli si trovava nella tormenta, che ruolo assunsero gli Alleati?

«Un ruolo chiave lo svolsero gli inglesi. In particolare attraverso la cosiddetta “british organisation”. Un’organizzazione creata per il supporto ai militari evasi dai campi di prigionia ma che progressivamente assunse caratteristiche che andavano ben oltre la semplice solidarietà. Con la regia della Legazione inglese e la supervisione e il finanziamento del Foreign Office e della sezione 9 del Military Intelligence, presero corpo vere e propria attività di intelligence condotte dall’interno delle Sacre Mura. E il braccio operativo fu un monsignore  irlandese, Hugh O’Flaherty. Si diede aiuto a tutti coloro che cercavano rifugio e asilo. E molti pagarono con la vita questo impegno. Un impegno a cui diede concreto sostegno Mons. Montini, che, ovviamente, aveva il pieno avallo di Pio XII».

Dal 2 marzo 2020, a un anno esatto dall’ottantesimo anniversario dell’elezione al Soglio di Pietro di Pio XII, il Vaticano per volere di Papa Francesco aprirà agli studiosi l’Archivio Segreto riguardante il pontificato di Eugenio Maria Giuseppe Pacelli, durato dal 1939 al 1958. È un passo avanti per chiarire meglio uno dei momenti più tragici e discussi del Novecento, che consentirà di dare basi più solide al dibattito in corso da tempo sull’atteggiamento della Santa Sede nei riguardi della persecuzione antiebraica perpetrata dai nazisti durante la II Guerra Mondiale?

«Certamente, anche se il Vaticano aveva già aperto gli archivi. Non va dimenticato che, per volontà di Paolo VI, furono progressivamente resi pubblici gli Atti della Santa Sede sulla Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di undici corposi volumi, che, per pur nella complessità ed eterogeneità dei temi trattati, offrono un quadro quanto mai vivo di quegli anni. E delle difficoltà in cui la Chiesa di Roma si trovò ad operare. Difficoltà che nel libro credo emergano in maniera inequivocabile. Per quanto riguarda le critiche  sui “silenzi” di Pio XII certamente chi si aspettava proclami contro il nazismo non li ha ascoltati. Ma vanno anche  ricordate alcune motivazioni, che stanno alla base di quella scelta fatta e che possono renderla più comprensibile. Innanzitutto c’era l’esigenza di evitare  mali “ad maiora”, come l’esperienza olandese aveva tragicamente dimostrato. Le reazioni folli di Hitler non  potevano non essere considerate. E poi le sollecitazioni che Pio XII ebbe dalla resistenza tedesca, con cui era in stretto contatto, a non provocare in alcun modo il Führer. E su questa stessa linea si mosse l’Ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, il barone Ernst Heinrich von Weizsäcker. Ma se i fatti parlano più delle parole, fatti ce ne furono e come. Se si vogliono guardare».

(1) Sandro Barbagallo, Cesare Catananti, La Gendarmeria Vaticana dalle origini ai nostri giorni, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2017.