Coronavirus: cambiamo punto di vista. Le nostre armi migliori sono l’amore, la cura, essere una comunità

“Adesso più che mai bisogna innamorarsi – scrive il poeta e paesologo Franco Arminio, che in questi giorni di inquietudini per il coronavirus regala sulla sua pagina Facebook avvincenti decaloghi contro la paura -. Dobbiamo riprendere il vigore che hanno gli alberi che stanno per fiorire. Non possiamo nasconderci, seppellirci nella distanza, la paura viene a prenderci ovunque siamo, la paura è già tutta scesa nelle nostre ossa, dobbiamo denunciare il nostro spavento, dobbiamo scuoterci e scuotere. La vera arma contro il coronavirus è l’amore, il furore di una nuova passione per la sacralità della terra e della vita. Dobbiamo cantare e narrare, leggere poesie, pregare, baciare, dobbiamo inventare qualcosa che ci tiene insieme veramente, dobbiamo dire che la dittatura dell’economia ha ridotto il volume delle nostre anime. Alla fine più che una battaglia medica è una battaglia teologica: non siamo qui per difenderci dalla morte, ma per onorare il dono misterioso di ogni vita”.

Queste parole mettono i brividi, come i versi de “Il bacio” di Neruda: “Vorrei fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi”. I rami degli alberi in questi giorni si stanno riempiendo di fiori, ma noi siamo avvolti in una nebbia collettiva.

Pensiamo soprattutto a ciò che l’epidemia ci toglie: la libertà, l’economia, la salute, la scuola, perfino la messa, la catechesi e l’oratorio. I contatti con gli amici e con le persone care, più fragili, gli anziani che bisogna proteggere. Ci mancano le strette di mano e gli abbracci, le partite allo stadio, gli spettacoli, il cinema, le feste. Sono tutti problemi reali, pesantissimi, e fatichiamo in questo momento a vedere le soluzioni. Ci sentiamo, soprattutto, in balia delle decisioni di altri, e di una tempesta crudele che il destino ci ha riversato addosso. Vorremmo tanto che qualcuno si prendesse la colpa.

“L’arma contro il coronavirus è l’amore”: non è una frase fatta, ma un invito a cambiare punto di vista, partendo da noi stessi, da ciò che possiamo fare, e dalla fede. Ogni sacrificio che facciamo è anche questo, un atto di fede, un gesto d’amore, di cura e di responsabilità per le persone che ci sono vicine e per la società nel suo complesso. “Nessun uomo è un’isola – scrive John Donne – intero in se stesso. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità”.

E’ la natura stessa, con la primavera incombente, a offrirci la strada per reagire: è il momento di essere creativi, escogitare contromisure. Credere nella possibilità di riuscirci.

Usare la rete per tutte le possibilità positive e costruttive che offre (la didattica online, la cultura in streaming, messe e preghiere in diretta, la possibilità di videochiamarsi e scambiarsi messaggi, scambiarsi informazioni affidabili, rispondere alle emergenze, creare reti che possano funzionare anche offline).

E poi “inventare qualcosa che ci tenga insieme veramente” perché il virus può molto contro i singoli, ma è inefficace verso una comunità coesa. Riscoprire le radici, i legami, tradurli in gesti concreti che ci aiutino a rendere la vita più facile, anche nella difficoltà, prendendosi cura gli uni degli altri: con prudenza e buon senso, senza risparmiarsi, come già fanno gli operatori sanitari e i volontari che li affiancano, come già accade spontaneamente, nelle zone più colpite, dove le forze più sane si sono messe in moto. Fra le immagini più forti, quelle che ci sono rimaste più impresse, arrivate da Wuhan negli ultimi mesi ci sono quelle delle persone che nei periodi peggiori di isolamento si gridavano saluti e incitamenti a resistere dalle finestre. Adesso tocca a noi trovare un modo, non solo ai politici, a tutti. “Ci siamo sparpagliati – scrive ancora Arminio -, ci siamo spappolati in questi anni. Ora dobbiamo lavorare a costruire comunità. Il virus può uccidere individui, non ucciderà mai una comunità. Solo federando le nostre ferite ci salveremo”. La speranza è già lì, pronta a sbocciare, come i fiori sui rami degli alberi. Dobbiamo “solo” spazzare via la nebbia.