Memoria di padre Ernesto Cardenal. Un mistico con le radici ben piantate in terra

Foto: Ernesto Cardenal (1925 – 1 marzo 2020)

Fortunato l’uomo che non segue le direttive del Partito
e non partecipa alle sue manifestazioni
e non si siede allo stesso tavolo con i gangsters
o con i Generali nel Consiglio di Guerra
Fortunato l’uomo che non spia il suo fratello
o denuncia il suo compagno di scuola
Fortunato l’uomo che non legge gli annunci pubblicitari
e non ascolta le loro radio
e non crede nei loro slogan

Sarà come un albero piantato accanto a una fonte

 (Salmo 1 – Ernesto Cardenal)

Ricordo il libro, un piccolo volume pubblicato dalla editrice Cittadella di Assisi. Il titolo era: “Grido. Salmi degli oppressi”. Una rilettura dei Salmi dentro le vicende martoriate di un piccolo Paese del Centro America, allora sconosciuto: il Nicaragua. Venuto alla ribalta con la rivoluzione popolare del 1979 che scacciò il dittatore Somoza e diede vita, almeno all’inizio, ad una vicenda politica singolare, dove si mescolava Vangelo e liberazione, dignità e speranza.  L’autore del libro era un gesuita, padre Ernesto Cardenal, che con il fratello Fernando, anch’egli gesuita, e Miguel D’Escoto, accettò di entrare nel primo governo sandinista con l’incarico di Ministro dell’Educazione.

Il dito minaccioso di Papa Wojtyla

Ricordo anche la scena del 4 marzo del 1983, quando Papa Giovanni Paolo II arrivò all’aeroporto di Managua per una visita pastorale. Ad accoglierlo, Daniel Ortega (oggi ancora al potere, dittatore senza scrupoli) schierato con tutti i ministri. Ciò che avvenne lo raccontò, anni dopo, nel corso di una intervista al settimanale Vita del 2004, fu lo stesso Cardenal:

Dopo i saluti di protocollo, compresi quelli della guardia d’onore e della bandiera, il Papa chiese al presidente Daniel Ortega, se poteva salutare anche i ministri. Naturalmente gli fu detto di sì; così il Papa si diresse verso di noi. Affiancato da Daniel e dal cardinal Casaroli cominciò a dare la mano ai ministri e, quando si avvicinò a me, io feci quello che, anche su consiglio del Nunzio, avevo previsto di fare se si fosse verificato questo caso: togliermi il basco e inginocchiarmi per baciargli l’anello. Ma egli non permise che glielo baciassi e, brandendo il dito come fosse un bastone, mi disse in tono di rimprovero: “Lei deve regolarizzare la sua situazione”. Siccome io non risposi, tornò a ripetere la brusca ammonizione. E questo mentre eravamo inquadrati da tutte le telecamere del mondo. Ho l’impressione che tutto questo fu ben premeditato dal papa. E che le televisioni fossero avvisate. In realtà, era ingiusta la reprimenda del Papa perché io avevo regolarizzato la mia situazione con la Chiesa. Noi sacerdoti che avevamo incarichi nel governo eravamo stati autorizzati dai vescovi, che avevano reso pubblica la loro autorizzazione (fino a quando il Vaticano ci proibì di mantenere tali incarichi). E la verità è che ciò che più disgustava il Papa della Rivoluzione del Nicaragua era che fosse una Rivoluzione che non perseguitava la Chiesa.

La vicenda umana e spirituale di Cardenal

Ernesto Cardenal è morto nei giorni scorsi a novantacinque anni. Una vita lunga. Così come la sua ricerca dell’assoluto che per lui aveva i contorni della poesia, della bellezza e della giustizia. Nel libro dove narra la sua storia, così descrive la vocazione religiosa: “Nessuno poteva saziarmi, solo Dio. Cosa che Dio sapeva, però io no”.  Una ricerca che lo portò nel 1957, a entrare nel monastero trappista del Getsemani, in Kentucky, dove conobbe il suo maestro spirituale, Thomas Merton. Un’esperienza fondamentale per la sua biografia umana, spirituale e artistica. Là, Cardenal maturo l’idea una comunità in cui l’arte – l’arte popolare, fatta da pescatori e contadini poveri – divenisse strumento per avvicinarsi al Vangelo. Così, al rientro in Nicaragua dove venne ordinato sacerdote, fondò Solentiname in un isolotto remoto del grande lago di Nicaragua, il  Cocibolca. In quel posto hanno sepolto il “sacerdote e poeta” o “sacerdote-poeta”.

Riabilitato da Papa Francesco

Un mistico “con le radici ben piantate sulla terra” che ha abitato fino alla fine, in una stanza con un letto, un comodino e un’amaca. Un eremo. Un credente che ebbe il dono, come prima di lui Miguel d’Escoto, della riabilitazione perché papa Francesco lo scorso anno decise di di revocare “tutte le sanzioni canoniche” che pesavano sopra di lui. Mi hanno commosso le foto di padre Ernesto in un letto di ospedale, con la stola al collo, a celebrare la messa assieme al nunzio apostolico a Managua.

Come bene ha scritto Tonio Dall’Olio: “non so dire se il mondo si sia accorto del suo passaggio, ma la terra sì, è stata concimata anche dalla sua poesia e dal suo amore per il vangelo dei poveri. In silenzio qualche albero è cresciuto anche grazie a quella linfa.”