Non siamo chiamati solo a “funzionare”, ma ad “esistere”. La lettura di Benasayag

Torna la rubrica quindicinale di consigli di lettura dalla Biblioteca diocesana del Seminario Giovanni XXIII. Questa settimana proponiamo una recensione di “Funzionare o esistere?” di Miguel Benasayag (Vita e Pensiero).

Nel saggio proposto, Benasayag analizza la tendenza delle nostre società cosiddette “post-moderne” a ridurre le dimensioni del pensiero, delle emozioni e delle relazioni a meri processi di funzionamento. Interessante, inoltre, è la prospettiva utilizzata dall’autore: quella di filosofo psicanalista, militante nella guerriglia guevarista durante gli anni della dittatura argentina, torturato e incarcerato più volte. Il suo attivismo politico e intellettuale affiora dalle pagine del testo, insieme all’invito ad agire e pensare nella complessità in modo pieno e con coraggio, in ogni situazione. Un appello importante, considerato il clima di paura e incertezza che caratterizza il mondo contemporaneo.

Fallimento della modernità, ossessione per il consumo, rimozione del negativo, paura dell’ignoto e avvento del post-organico, sono solo alcune delle questioni sollevate dall’autore. Nella nostra società non ci sarebbe più spazio né per gli anziani, considerati ormai semplicemente dei vecchi, né per la malattia o la morte, difetti tecnici che ostacolano la “potenza d’agire”. Al contrario, noi tutti, specialmente i giovani, saremmo chiamati a diventare imprenditori di noi stessi: autonomi, felici, dinamici, performativi e consumatori. Il mondo sembrerebbe così diviso in vincitori e perdenti all’interno di una “ipermodernità vorace” cieca di fronte a qualunque forma di ricchezza che non sia quantificabile e misurabile. Dinanzi a questo preoccupante scenario in cui gli individui si trasformano in “profili”, cessano di esistere e si preoccupano unicamente delle loro performances funzionanti, l’autore propone un’etica situazionale in cui il funzionare non si opponga in modo dicotomico all’esistere. La sfida è, infatti, quella di agire nella complessità senza soffocare i nostri disfunzionamenti e questo testo, sostiene l’autore, vuole essere un contributo a tale agire. Ai lettori dunque, l’invito a non sentirsi inadatti o perdenti di fronte alle sfide della complessità ma, al contrario, ad avere il coraggio di “entrare in amicizia con la nostra fragilità”.

Chiara Maino

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