Freelance ai tempi del coronavirus: la paura del futuro

Sono passate quasi due settimane da quando ci è esplosa in casa l’emergenza coronavirus. Due settimane di dubbi, di incertezze e di informazioni e direttive che senza sosta si rincorrono sui giornali, sui social, su Whatsapp: cose che si possono fare, che non si possono fare, che sarebbe meglio evitare…  In questi giorni sospesi noi freelance abbiamo però già iniziato a raccogliere i cocci di un mondo che ci si sta frantumando in mano ora dopo ora.

Da un lato viene prima la salute e l’urgenza è contenere il contagio; dall’altro, però, è inevitabile che lo sguardo corra anche in avanti, alle prossime settimane o addirittura ai prossimi mesi: ai clienti persi, ai lavori non rinnovati, alle commesse rimandate o addirittura saltate. Guardi in avanti e vedi nebbia scura: già in tempi “normali” non è sempre facile vivere da partite Iva, ci si ingegna, ci si mette in gioco e rinnova giorno dopo giorno. Spesso si riesce anche a fare il lavoro dei propri sogni, a volte – nonostante le solite incombenze fiscali e burocratiche – si può persino azzardare un pensiero positivo verso un futuro roseo, quando vedi che ciò che hai costruito negli anni inizia a funzionare: hai clienti, hai tutto l’anno impegnato, hai fatto tutti i conti del caso e magari puoi pure azzardarti a tirare un sospiro di sollievo.

Poi è arrivato il Covid-19.

E tutto è crollato. Tutti hanno tirato il freno a mano. Ciò che c’era in ballo per il futuro è in stop, rimandato, sospeso: tranne affitti, bollette, tasse, che in stop non ci vanno mai, neppure se c’è epidemia nazionale. Ci siamo trovati, noi freelance, con i progetti defunti in mano, e con essi tutto il nostro futuro immediato: non abbiamo ammortizzatori sociali, non abbiamo solo mancati guadagni ma anche clienti persi; possiamo pensare a reinventarci, nella consapevolezza però che i nostri potenziali clienti del futuro sono gli stessi che non avranno soldi per i nostri servizi, perché anch’essi saranno a terra.

É inutile negare la paura, l’incertezza, lo spaesamento. Il senso di cappio al collo quando fai due conti e ti rendi conto che dovrai pagare l’affitto con i (pochi) risparmi messi da parte, e che comunque il mese successivo dovrai pagarne un altro ancora, e con quali risparmi, stavolta, se non hai più ottenuto lavori? Se tutto è fermo, in quarantena, zona rossa, zona gialla?

E mentre continua la conta dei deceduti, dei guariti e dei contagiati, mi rendo conto con sconcerto che – egoisticamente forse – ho più paura del futuro che del virus e che temo più la solitudine del dopo che quella dell’adesso: perché dopo, quando l’emergenza sarà passata e i riflettori saranno spenti, sarà una solitudine potenzialmente più lunga, più dolorosa e anche – forse – meno interessante da raccontare, dopotutto.